La presidente Di Bisceglie: «Più imprese femminili per garantire l’autonomia economica delle donne e combattere la violenza di genere»
Lo ha detto Luciana Di Bisceglie, presidente della Camera di Commercio di Bari, aprendo i lavori della tappa barese del “Giro d’Italia delle donne che fanno impresa”, il roadshow promosso da Unioncamere nazionale con il diretto coinvolgimento dei Comitati per l’imprenditoria femminile delle Camere di Commercio. L’appuntamento è stato organizzato dal Comitato barese, che si è insediato di recente e che resterà in carica per il prossimo quinquennio con al vertice Marta De Robertis, in rappresentanza di Confartigianato.
«Da 14 anni attraverso i Comitati per l’imprenditoria femminile – ha dichiarato Tiziana Pompei, vice segretario generale di Unioncamere, intervenuta all’incontro – si consente all’imprenditoria femminile di farsi portavoce di istanze e idee nell’ambito della programmazione delle attività camerali e nella interlocuzione con le altre istituzioni, di promuovere indagini conoscitive sui problemi che ostacolano l’accesso delle donne al mondo del lavoro e dell’imprenditoria e promuovere più in generale iniziative per il loro sviluppo. Oggi lo facciamo nella cornice nel “Piano Nazionale dell’Imprenditoria femminile”, progetto del ministero delle Imprese e del Made in Italy , finanziato dall’Unione europea con le risorse del Next Generation EU (soggetto gestore Invitalia, in collaborazione con Unioncamere) ma anche promuovendo la certificazione di genere. Stiamo realizzando un’iniziativa nelle scuole per invogliare le studentesse a scegliere percorsi di studio Stem (acronimo inglese che indica scienze, tecnologia, ingegneria e matematica, ndr) molto richiesti sul mercato del lavoro e in cui l’impresa femminile ha una rappresentanza non diffusa».
E difatti, come osservato da Alessandro Rinaldi, direttore Studi e Statistiche Centro Studi Tagliacarne «da elaborazioni su dati Istat, il 14,4% dei dipendenti di imprese femminili in Puglia possiede una laurea (media nazionale 14,5%) contro il 17,6% di quelle non femminili. Fra questi la quota di chi è in possesso di una laurea STEM è del 2,5% (media nazionale 2,7%). Nelle imprese non femminili, invece, la media nazionale di dipendenti con laurea STEM è 4,7%. Lo si spiega con un “effetto settore”, ossia con il fatto che le imprese femminili operino solitamente in settori tecnologicamente poco avanzati».
L’aspetto della formazione si conferma dunque strategico per lo sviluppo e la qualificazione dell’imprenditoria femminile, ma più in generale per una percezione della donna nel mondo del lavoro, che dall’economia si sposti nella società, e non a caso il primo progetto messo in cantiere dal neo costituito Comitato barese riguarderà un percorso di formazione: «Sarà diretto sia alle donne imprenditrici che alle dipendenti e sarà incentrato su alcuni punti quali: violenza economica, maternità e welbing, finanza e bandi, certificazione di genere», ha detto la presidente Marta De Robertis.
L’incontro moderato dal segretario generale della Camera di Commercio di Bari, Angela Patrizia Partipilo e che ha visto la partecipazione dell’assessore alle Attività Produttive del Comune di Bari, Carla Palone, è stato anche occasione per fare il punto dell’imprenditoria femminile in Puglia, con un focus sulla transizione digitale e le azioni predisposte dal sistema camerale per incentivare la parità di genere in azienda.
Le imprese femminili in Puglia sono 88mila ( 9^ regione d’Italia, 3^ del sud, dopo Campania e Sicilia). 23mila sono agricole, 18 mila operano nel commercio al dettaglio e 3 mila all’ingrosso, 7mila nei servizi alla persona, 5 mila nella ristorazione e 3mila nel turismo, 3.400 nell’edilizia e nel suo indotto, 1200 nella moda. Si tratta di aziende tutt’altro che marginali: oltre 1.600 superano il milione di euro di fatturato; quasi un centinaio addirittura superano i 10 milioni. Ma è un mondo in chiaroscuro, con aspetti positivi e altri negativi. Se guardiamo le “cariche”, cioè le qualifiche o i titoli ricoperti da donne nelle imprese pugliesi (soci, amministratori, titolari, ecc.), troviamo uno stuolo di 209mila donne. Non sono poche, anzi. Lo scenario è un po’ meno “aperto” quando osserviamo gli amministratori di società di capitali; le donne si riducono a 27mila. Non sono poche neanche queste, però ci raccontano una cosa precisa: le donne in Puglia hanno fatto progressi nell’accesso al capitale sociale delle aziende e in generale fanno impresa, ma c’è ancora un divario di genere nei livelli manageriali, che va sanato.