Incidenti stradali: no al risarcimento ridotto ai familiari della vittima anche se c’è chi li assiste
Il ristoro del danno non patrimoniale deve colmare il vuoto per i congiunti. Tabelle sì, ma personalizzate
Il danno non patrimoniale che scaturisce dalla perdita di un congiunto vittima di un incidente stradale deve essere sì risarcito secondo equità ma cercando di ricomprendere nel ristoro tutti gli aspetti che scaturiscono dalla lesione dell’integrità della famiglia. In caso di liquidazione in base alle tabelle in uso nei tribunali, i relativi valori vanno dunque esplicitati e su di essi deve essere effettuata la personalizzazione in base alle circostanze del caso. Né vale osservare che la determinazione dell’importo risulterebbe congrua laddove i familiari della vittima possano comunque contare sull’appoggio di vari parenti superstiti, che siano in grado di assisterli. È quanto emerge da una sentenza emessa il 9 maggio 2011 dalla terza sezione civile della Cassazione.
Valutazione discrezionale
Il danno non patrimoniale patito dai parenti della vittima dell’incidente stradale non si limita al mero, e crudo, dolore per la perdita del loro caro. È un intero sistema di affetti che viene meno, cosa che inevitabilmente si riflette nella vita quotidiana e nelle relazioni fra i superstiti. Non è facile il compito che attende il giudice del merito: spetta al suo prudente apprezzamento risarcire l’irreparabile perdita della comunione di vita in favore dei congiunti, esplicitando le regole di equità seguite; insomma: il riferimento del giudice del merito all’esistenza di una pluralità di parenti superstiti risulta formulato in termini «puramente assertivi».
Il «denaro del pianto»
La vittima dell’incidente, nel caso affrontato dai giudici, è una donna morta dopo venti giorni di agonia, lasciando il marito e il figlio. La Suprema corte, dunque, ricostruisce i principi che devono ispirare la liquidazione del risarcimento in questi casi: nell’ipotesi di lesione dell’integrità fisica con esito letale, un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato trasmissibile agli eredi è configurabile solo se la morte sia intervenuta dopo un apprezzabile lasso di tempo (come nella specie); analogamente, la sofferenza patita dalla vittima durante l’agonia (il danno cosiddetto “catastrofale”) risulta risarcibile, e può essere fatto valere iure hereditatis, unicamente laddove la lesione sia stata in condizione di percepire il proprio stato, abbia cioè avuto «l’angosciosa consapevolezza» della fine imminente; non è invece risarcibile il danno tanatologico, vale a dire da perdita del diritto alla vita, fatto valere iure successionis dagli eredi del de cuius, per l’impossibilità «tecnica» di configurare l’acquisizione di un diritto risarcitorio che deriva dalla lesione di un bene connesso in modo intrinseco alla persona del titolare.