C’era una volta il derby della Mole che affascinava per colore, interesse e sano sfottò tra due fazioni così diverse e capaci di guardarsi in cagnesco, ma simili nell’abitare in quella Torino che è stata importante dal punto di vista della storia del football italiano. Erano gli anni che Granata e Bianconeri lottavano per lo scudetto e tanti altri decenni in cui il Torino godeva semplicemente nel superare la Juventus nel derby, pur di renderle difficile la lotta all’ennesimo titolo di campione d’Italia. Si è scritto tanto su questo tema e tanto altro è stato pure messo in analisi da parte di sociologi che hanno cercato di dare una risposta culturale e sociale del tifo pallonaro in questa città notoriamente discreta nel suo essere, ma anche operaia e al contempo nobile, elegante, che la storia ci ricorda come essere stata la prima capitale d’Italia. Più di una volta si è sconfinati nella retorica del pallone, dando al derby torinese l’appellativo del ricco contro il povero, là dove per ricco c’era la nobile casata juventina degli Agnelli e per povero si intendeva la forza del proletariato, dell’operaio, di coloro i quali lottavano contro chi aveva instaurato una sorta di sistema sociale ed economico, difficile da abbattere anche dal punto di vista del football stracittadino. Tutte storie evanescenti, legate per significare chi ha troppo e chi non ha nulla o poco; chi gode, vince sempre o quasi sempre, e chi, invece, si accontenta di poco perché altro non ha, se non quella singola vittoria su chi è potente. Era il pallone che rotolava nel rettangolo verde tra situazioni in maglia granata e bianconere. Cuore e orgoglio per la maglia granata, e una Juventus che da sempre si è sentita fortemente prima in Italia per avere vinto più scudetti di tutti. E il derby guai a perderlo, perché tornare a lavorare in fabbrica o in ufficio il giorno dopo, diventava quasi un dramma da vivere.
E oggi? Com’è oggi il derby della Mole? Due squadre alla ricerca della loro vera identità, della loro gloriosa storia che stenta a ripartire nei valori agonistici, tecnici, societari. E’ una lunga fase di riorganizzazione che deve cominciare dall’alto e, per questo, ci vuole del tempo. Diversa la situazione in casa Juventus che dopo avere vinto gli ultimi nove scudetti di seguito, in ordine di tempo, è incappata in una sorta di anonimato che è lontano dagli antichi valori bianconeri fatti di stile Juventus. Ed è pure diversa la storia granata che ormai da troppi anni non brilla più per quel tremendismo che era la sintesi del vecchio cuore granata. C’era la curva Filadelfia bianconera e c’era pure la curva Maratona granata, che oggi c’è ancora ma non si può più confrontare con gli odiati cugini, se non di riflesso in uno spicchio insignificante di stadio. E intanto la Mole guarda dall’alto il cambiar dei tempi, le passioni talora affievolite ma sempre pronte a darsi “battaglia” nel rettangolo di gioco. E poi c’è il lento fluire del fiume Po, romantico andamento tra gli alberi del Valentino, in cui sembra dividersi tra le sponde di due fazioni di tifosi: da una parte quelli della Juventus e dall’altra quelli del Toro. E’ il quadretto romantico del calcio torinese, il pallone che ricorda un passato fatto di antagonismo sportivo forte ma bello, dolce, pieno di ansia e di passione. E la città Sabauda che cambia, forse anche pronta a capirne di più sull’intelligenza artificiale, ma sempre ancorata alla sua lunga storia di città elegante, discreta, mai abbandonata alla caciara, ma piena di cuore. Sì, cuore granata e cuore bianconero. Quello resta sempre!
Salvino Cavallaro

