La denuncia della Violenza Istituzionale e le voci delle “Madri Strappate”

da | Mag 27, 2025 | Testimonianze e contributi

Abstract
L’incontro del 19 maggio 2025 presso il Parlamento Europeo a Bruxelles ha rappresentato un momento di cruciale importanza, segnando la prima volta in cui la gravità e la pervasività della violenza istituzionale sono state portate all’attenzione del consesso europeo.
Gli Stati Generali delle Donne, forti della loro esperienza e del sostegno alle “madri strappate”, si pongono come motore di un cambiamento significativo, promuovendo istanze legislative concrete per la protezione di donne e minori e per una reale trasformazione culturale e giuridica.

Isa Maggi degli Stati Generali delle Donne, ha delineato con precisione come questa insidiosa forma di violenza si manifesti con particolare intensità nei tribunali della famiglia durante le delicate fasi post-separative, infliggendo sofferenze profonde a donne e minori non solo in Italia, ma in un contesto europeo e globale più ampio.

La violenza istituzionale si configura come un agire nocivo perpetrato dalle stesse istituzioni deputate alla tutela: servizi sociali, tribunali, consulenti tecnici d’ufficio, avvocati, psicologi e psichiatri forensi. È emerso con chiarezza come queste istituzioni, purtroppo, appaiano ancora profondamente radicate in una cultura familiare di stampo patriarcale. Tale cultura si dimostra incline a negare, giustificare e minimizzare le gravi mancanze maschili e paterne, giungendo persino a sottovalutare la violenza e gli abusi sessuali intrafamiliari. Parallelamente, si osserva un’attenzione ipercritica verso le capacità genitoriali materne, spesso sfociante nella squalifica o nell’incredulità di fronte al racconto delle madri che denunciano violenza o abusi. Queste donne vengono frequentemente etichettate con termini svilenti come “aliene”, “manipolatrici” o “ostacolatrici” del rapporto padre-figlio, in un inquietante ribaltamento della prospettiva che colpevolizza la vittima.

Si è evidenziata una preoccupante incapacità di riconoscere protocolli, interpretazioni e prassi giudiziarie viziate, fondate su pseudo-teorie e persino su diagnosi psicologiche e psichiatriche plasmate su millenari pregiudizi misogini e su logiche di controllo e palesi privilegi patriarcali.

La disamina del contesto legislativo ha posto in luce come tappe normative fondamentali, pur rappresentando progressi formali, non abbiano ancora generato un reale cambiamento culturale e pratico. L’abolizione del reato di adulterio femminile (1968-1969), il riconoscimento formale della parità giuridica della donna rispetto al marito (1975), il superamento della sua equiparazione ai figli minori e della sua incapacità di decidere sull’educazione della prole, l’abolizione della giustificazione dell’omicidio per “delitto d’onore” (1981) e la qualificazione dello stupro, anche nei confronti di donne e bambini e da parte di figure paterne, come reato contro la persona e non più contro la morale (1996), pur essendo pietre miliari, non hanno ancora scalfito una realtà quotidiana segnata da discriminazioni e violenze domestiche maschili che rimangono invisibili agli occhi delle istituzioni. Si assiste a dinamiche allarmanti: donne vittime di violenza interrogate sulle loro modalità di vestire, indagini sul presunto comportamento “libero” o conflittuale in caso di femminicidio, sminuimento o negazione dei racconti di abusi domestici, denunce ignorate o liquidate con giudizi di instabilità psicologica.

Le statistiche presentate sono state eloquenti e sconcertanti: oltre il 90% delle denunce per abusi sessuali incestuosi su minori vengono archiviate, con una condanna che si attesta probabilmente solo all’1%. Anche per i maltrattamenti, il 60% delle denunce subisce l’archiviazione. Ciò nonostante, in oltre l’80% dei casi, i minori vengono affidati anche a padri maltrattanti, persino in presenza di condanna. Paradossalmente, donne e minori che non sviluppano una “resilienza” alla violenza domestica maschile, nonostante abbiano ottenuto giustizia con una condanna, rischiano l’allontanamento: i figli vengono sottratti alle madri “colpevoli” di aver denunciato e affidati al padre, anche se quest’ultimo è stato riconosciuto colpevole.

L’analisi delle cause profonde della violenza istituzionale ha evidenziato una complessa interazione di fattori culturali, storici e giuridici, che persistono nonostante i progressi legislativi. Si è sottolineato come la legge n. 54 del 2006 sull’affido condiviso, pur rappresentando un tentativo di modernizzazione del diritto di famiglia, possa paradossalmente contribuire, in determinati contesti, a perpetuare dinamiche di violenza istituzionale. La persistenza di stereotipi di genere e di una cultura patriarcale continua a influenzare le decisioni giudiziarie e le valutazioni degli operatori, manifestandosi nella tendenza a sminuire la violenza maschile, a iper-responsabilizzare le madri e a interpretare i conflitti genitoriali in modo asimmetrico. L’errata applicazione della legge sull’affido condiviso, nata per garantire la bigenitorialità, in alcuni casi porta a un’applicazione acritica senza considerare contesti di violenza. L’inadeguatezza della formazione degli operatori, la distorsione nell’utilizzo delle Consulenze Tecniche d’Ufficio e la mancanza di protocolli sensibili al genere contribuiscono a perpetuare questa forma di violenza.

L’esperienza sul campo degli Stati Generali delle Donne ha portato alla luce le toccanti testimonianze delle “madri strappate”, donne appartenenti a diversi contesti sociali, unite dalla devastante esperienza della perdita dei propri figli a causa di un sistema che non le ha tutelate. Sono state presentate le storie di madri insegnanti, educatrici, professioniste e imprenditrici, che nonostante il loro impegno sociale e professionale, si sono trovate a combattere contro un sistema che ha sminuito le loro denunce di violenza e abuso, portando al paradossale allontanamento dei figli. Sono state raccontate le difficili realtà delle madri disoccupate, rese ancora più vulnerabili da una violenza psicologica ed economica spesso ignorata, e giudicate inadeguate sulla base di preconcetti socio-economici. Queste testimonianze dirette rappresentano un patrimonio inestimabile che gli Stati Generali delle Donne si impegnano a rendere pubblico, portando queste voci al Parlamento Europeo come un atto di giustizia fondamentale per scuotere le coscienze e sollecitare azioni concrete.

L’apporto e il sostegno degli Stati Generali delle Donne si sono rivelati cruciali nel contrastare la violenza istituzionale attraverso azioni concrete volte a dare voce e visibilità alle vittime, creare reti di supporto e solidarietà, monitorare e denunciare prassi dannose, proporre riforme legislative, collaborare con Esperti e sensibilizzare l’opinione pubblica.

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