La partita di pallone

da | Mar 16, 2023 | L'impertinente

 

Immaginate uno stadio pieno per vedere la partita del cuore o quella per lo scudetto o per la vittoria del mondiale.
Le tifoserie fremono, non stanno più nella pelle, pronte a sostenere la propria squadra in qualsiasi modo e ad accogliere a suon di urla, insulti, l’altra.
I contendenti si scaldano, si guardano. Sanno che la partita si può vincere o perdere o un deludente pareggio.
Vedremo.
Tutti sanno, giocatori e tifoserie, che gli uni e gli altri hanno scommesso su di loro e valuteranno il loro comportamento.
Si apre il gioco.

Fabrizio Roncone, per il Corriere della Sera ha seguito una partita insolita. Questo il suo resoconto:

“Da una parte la premier in tailleur nero (o di un blu talmente scuro da apparire nerastro). La segretaria del Pd: con giacca rosa pallido e camicia fantasia”.

Non è lo Stadio ma il Parlamento Italiano, non una partita di pallone ma il primo incontro in Aula tra la Premier Giorgia Meloni e la Segretaria DEM Elly Schlein.
Bisogna raccontare “ogni dettaglio di questo primo incontro tra Giorgia ed Elly” (perché le donne si chiamano per nome), continua il giornalista.
Che goduria, e chi se lo perde?

Sulla scia del racconto di una sfida all’ultimo sangue, ci si immagina che le giocatrici (al femminile risulta meno aggressivo) scalcino ed ecco che
Adesso Elly è in piedi e, subito, attacca Giorgia…. La chiama: «Signora presidente…» (è noto che la Meloni chiede invece di essere definita «il premier», o «il presidente»).
Voce meno spezzata del solito , dito indice puntato verso Giorgia.
Strategia evidente: sono venuta qui per te, parlo con te, guardami mentre parlo con te”. 

Non pensiate che sia  il racconto di uno dei soliti thriller di Netflix.

“Di certo questa segretaria di 37 anni — determinata, libera, di puro fascino (sta parlando della Schlein?) — Giorgia l’ha vista arrivare fin troppo bene; e sa certamente valutarne la travolgente freschezza (di che?).
Comunque: il giochino del question time prevede, per la premier, una sola risposta (mentre Elly avrà diritto alla controreplica).
Ma tanto Giorgia sa tutto, ha visto tutto
(furbastra).
E che, oggi, adesso, ha appena una manciata di minuti a disposizione per la replica.
E così: snobba la sua avversaria, definendola «gli interroganti».
Poi, prima picchia duro sulle opposizioni (
il pallone viene rimesso in campo)…”.

E a questo punto il racconto ci lascia senza fiato, come andrà a finire la partita?
E’ un’attesa straziante…

Ora la voce gli va su. Scandisce le parole. Quanti comizi avrà fatto in vita sua? È una richiesta precisa: dai banchi della maggioranza (i tifosi), puntuale, rotola una standing ovation. Calma. Sentiamoci Elly ‘che l’ha ascoltata tamburellando le dita della mano destra’ (minacciosa). Sensazione confermata: impara in fretta. «Signora presidente, le sue risposte non ci soddisfano!».

Si va ai rigori.

“La premier ascolta con una vaga aria di sufficienza, il mento appoggiato sulla mano…poi  Elly prende forza: «Le ricordo che ora sono io all’opposizione, e lei al governo…» (certo, due squadre). Aspettate. Elly dice — esattamente — così: «O-ra-so-no-io-all-oppo-si-zio-ne». Cioè: siamo io e te”.

I brividi corrono lungo la schiena. Che pathos! Poi, gran finale!

Ci aspettavamo che lo scossone “donne al comando” potesse scuotere molti uomini (mica solo gli stolti). Che si stesse avverando quell’orrenda fattura “tremate, tremate, le streghe son tornate” a rompere la catena che consentiva di accettare qualsiasi membro dell’esecutivo con la disinvoltura di sempre.
Ma, sempre secondo il giornalista del Corriere, oggi c’è una variabile imprevedibile, la
“Personalizzazione totale dello scontro. Uno schema che, in questi minuti, tutti ci accorgiamo che è già quasi un classico. Ecco: mentre la segretaria del Pd conclude il suo intervento, sugli appunti resta uno scarabocchio, un concetto: mondo nuovo. Perché davvero l’aver visto le due donne più potenti del Paese… (…)”

Avete capito bene la conclusione del ragionamento?
Dopo la disperazione del gioco e la speranza su un finale che porti verso un vero cambiamento ci si arrende, pensando che alla fine, di due donne, non può restare che uno “scarabocchio”.