La polizia può filmare di nascosto la maestra che picchia gli alunni: la scuola non è un domicilio
Lecito il decreto del pm, smentita l’indagata per maltrattamenti: non serve il placet del giudice per le riprese nel luogo aperto al pubblico
La maestra accusata di picchiare i piccoli allievi rischia seriamente di essere incastrata dalle immagini in cui distribuisce schiaffi, strattoni e forti tirate di capelli e di orecchi a bambini fra i sette e i dieci anni. E il decreto del pm che incarica la polizia giudiziaria di filmare di nascosto l’insegnante dopo la denuncia dei genitori non deve ottenere l’autorizzazione del giudice: l’aula scolastica, infatti, non è un domicilio ma un luogo aperto al pubblico perché vi accede un numero indeterminato di persone. È quanto emerge dalla sentenza 33593/12, pubblicata il 3 settembre dalla sesta sezione penale della Cassazione.
Motivazione ineccepibile
Inutile dolersi per l’insegnante indagata per maltrattamenti multi aggravati con l’abuso di autorità derivante dalla sua condizione di docente nella scuola elementare: il provvedimento del pm che dispone le videoregistrazioni contestate dalla maestra manesca è perfettamente legittimo laddove risulta motivato in modo adeguato (la misura cautelare dei domiciliari è stata sostituita con l’obbligo di dimora); l’insegnante, in tal caso, non può invocare una lesione della sua privacy o di sua altre prerogative personali avuto riguardo alla modalità di svolgimento delle indagini: quando la polizia giudiziaria spia un docente videoregistrandolo al massimo si può configurare un’indebita intromissione nella funzione svolta dal docente. Ed è per questo che il decreto del pm risulta motivato sulla necessità di filmare la maestra sospetta dopo i racconti delle punizioni corporali da parte dei bambini ai genitori e la registrazione di un file audio effettuata con il telefono cellulare. È vero: i video registrati nell’ambito domiciliare costituiscono prove atipiche acquisite in modo illecito e dunque non risultano utilizzabili nel procedimento penale; mentre le riprese effettuate dalla polizia giudiziaria che ledono la riservatezza personale devono comunque essere autorizzate dall’autorità giudiziaria procedente. Il luogo dell’attività di videoregistrazione, nel caso di specie, è tuttavia aperto a un numero indeterminato di persone, e dunque non costituisce un domicilio, né la maestra può eccepire uno ius excludendi in nome della riservatezza: non le resta che pagare le spese di giudizio.