Cristina Berardi, 49 anni, insegnante di Nuoro, nessun segno particolare, è finita, per un giorno, su tutti i giornali senza rendersi bene conto del perchè. La sua colpa è avere pubblicato un necrologio: “Cristina Berardi è vicina a Maria Grazia e Tina per la tragica scomparsa del fratello Gianfranco Ara, con profondo rispetto e affetto“. Cosa c’è di così strano?
Due sono i particolari significativi di questa vicenda: Gianfranco Ara, il morto, è stato condannato, nel 1987, a 28 anni per il sequestro di Cristina Berardi, che è la stessa persona firmataria del necrologio.
Ma arriviamo a fare chiarezza: il 20 giugno 1987, la Berardi, allora venticinquenne, figlia del presidente dell’Associazione degli Industriali di Nuoro, venne rapita da un commando di cinque persone a Villagrande. La sua prigionia durò 120 giorni, fino al 18 ottobre quando gli agenti della Polizia liberarono l’ostaggio. Dalle indagini entrarono e uscirono personaggi di grosso calibro della malavita ogliastrina.
L’unico però a finire sotto processo fu Gianfranco Ara, il fratello delle due amiche dell’insegnante a cui lei stessa ha rivolto il necrologio. L’uomo aveva pagato il suo debito con la giustizia ed era stato l’unico ad essere condannato per quel sequestro con 28 anni di condanna (15 scontati in reclusione).
Quando il destino diventa una sorta di ‘mistero buffo’ gioca strani scherzi, come nel caso dei protagonisti di questa vicenda. Le due sorelle di Gianfranco Ara, lavorano nello stesso posto della Berrdi e divengono amiche. Un’amicizia fra donne, che riesce a superare gli ostacoli, a tramutarsi in stima fino a divenire un rapporto solido e sincero.
La storia di Cristina e Gianfranco è quella di due vite che si incrociano senza essersio mai davvero conosciute, con il sequestro prima e con la morte dopo. Una sorta d’incontro tra il crimine e il perdono, tra violenza e carità, tra la vita e la morte. Una vittima ed un colpevole la cui ‘relazione’ si riaffaccia, dopo 24 anni, a riaprire un caso doloroso che dovrebbe appartenere ormai solo al privato di quelle persone o tutt’alpiù ai faldoni di un tribunale.
Invece sono bastate le poche righe di un necrologio, per riaprire lo scenario di quella violenza, le circostanze drammatiche di quegli avvenimenti ed i riflettori sono stati puntati ancora una volta su due dei protagonisti di quella vicenda.
Non fa notizia il corpo senza vita di quell’uomo, ex sequestratore, ex carcerato…ex persona. Non interessa i quotidiani un altro cadavere in strada. Solo Cristina ha illuminato, per poco, il buio di quella morte. Un’anima generosa, che sa dire parole semplici, profonde, che sanno rendere dignità a chi l’aveva persa:
Intervistata a proposito dichiara: "Gianfranco Ara ha avuto un ruolo marginale nel mio sequestro. E per quel ruolo marginale, se pur grave, ha gravemente pagato. A differenza di tutti gli altri. Quando lo sento definire sequestratore, non posso non pensare al dolore della famiglia che oggi lo piange. Delle sorelle, che io conosco e con le quali sono legata da stima e amicizia. A loro va tutta la mia vicinanza, il mio rispetto, il mio affetto"
Una posizione, quella della Berardi, nel riconoscere la marginalità delle colpe di Gianfranco Ara, che sconfina in un velato rimprovero alla giustizia: "Sul mio sequestro non è stata fatta giustizia. I latitanti non sono stati catturati, il gruppo di prelievo mai individuato. Non trovo giusto addossare tutte le colpe a una sola persona. Quindici anni in carcere per aver fatto una telefonata per chiedere il riscatto. Ha avuto le sue colpe, certo, ma non può essere considerato un sequestratore".
Una volta, purtroppo, si parlava della Sardegna per i numerosi sequestri per estorsione o per vendetta, spesso crudeli e finiti in crimini orrendi.
Oggi, più che altro si scrive del suo splendido mare, di vacanze, di profumi, e anche di volgare gossip. Il gesto di questa donna, una donna d’onore e di coraggio, ha riportato per un momento agli onori della cronaca la Sardegna del passato, ridando ad un morto il diritto alla clemenza e restituito agli affetti terreni. Un gesto d’onore riconoscibile, di un onore dimenticato.