I direttore del Foglio Claudio Cerasa ha scritto ieri un editoriale in cui critica fortemente l’abuso che i quotidiani fanno della cronaca nera, perché secondo lui contribuiscono a dare una immagine non realistica del Paese. Essendo però io una studiosa di statistica, ostinatamente attaccata alla realtà dei numeri, sono assai restia a qualunque impressionismo e penso, anzi, che si debba essere molto cauti ed equilibrati nel modo in cui si narrano i particolari di un omicidio, e nella descrizione delle persone coinvolte. Ma c’è un punto sul quale l’editoriale di ieri si è autodistrutto, proprio come Cerasa aveva pronosticato, ovvero là dove si accomunano alla cronaca nera i casi di violenza contro le donne, perché così si fa una grande confusione. Gli incidenti stradali accomunati alle rapine, agli omicidi per estorsione, a mafia, camorra, i femminicidi.
Ma la violenza maschile è una piaga specifica che per troppo tempo è stata silenziata o sottaciuta, contro cui le donne devono difendersi nella vita di tutti i giorni. La libertà conquistata dalle donne, quella di realizzarsi in tutti i campi, di vivere la vita e la sessualità liberamente, fa paura e crea rabbia in molti uomini , che non sanno — o non riescono — a realizzarsi in armonia e nel rispetto delle donne. Nel suo editoriale Cerasa scrive che non si può «trasformare ogni guaio in un’emergenza»: è assolutamente giusto. Peccato, però, nel caso della violenza contro le donne, che siamo di fronte a quella che va considerata come un’emergenza permanente. Che non è congiunturale, ma strutturale, perché espressione della volontà di dominio e di possesso dell’uomo sulla donna. Di una pratica patriarcale lontana dall’essere sconfitta.I dati ci dicono che la forma di violenza più efferata contro le donne, il femminicidio, analizzando i tassi annuali per 100 mila donne, è sostanzialmente stabile negli anni, pur a fronte di un crollo degli omicidi degli uomini sugli uomini. Uno zoccolo duro di violenza che non si riesce ad intaccare o che si modifica molto poco. Certamente non siamo tra i Paesi che hanno i tassi più alti, al contrario. Ma dobbiamo sempre ricordarci che il femminicidio è solo la punta di un iceberg di milioni di donne che subiscono violenza fisica, psicologica o sessuale nel corso della vita, e nella stragrande maggioranza dei casi essa non viene denunciata. I dati ci dicono ancora che le donne sono sole e isolate di fronte alla violenza, il 63% delle donne uccise non aveva parlato con nessuno della violenza subita. E così le donne che hanno subito violenze che non sono culminate in femminicidio: ugualmente sole, spesso intrappolate nella violenza dal ricatto, anche sui figli. Una violenza che purtroppo non è occasionale. E allora? Siamo sicuri che ne dobbiamo parlare di meno? Ne dovremmo parlare di più e meglio. Anche con l’obiettivo di estendere la condanna sociale, di scardinare la cultura del possesso e del potere maschile, di isolare chi giustifica la violenza con il «se l’è cercata».
Molte donne non si sentono di denunciare anche perché spesso non sono credute o addirittura vengono trasformate in imputate che devono dimostrare di non essere state consenzienti. Da quanti anni dura questa storia? E il dibattito di questi giorni ce l’ha dimostrato.
L’arma di difesa degli stupratori, piccoli e grandi che siano, è sempre la stessa, «era consenziente». Lo hanno fatto quelli di Palermo, quelli di Caivano, con il coro di sottofondo dell’odio misogino, che purtroppo è una realtà del nostro Paese, del «se l’è cercata». Dobbiamo stare attenti a non minimizzare, né sottovalutare. In una democrazia non è accettabile permettere che ciò accada. Sulla violenza contro le donne c’è bisogno di una unica voce forte, chiara, continua, che stia dalla parte delle donne senza ambiguità.
La stampa 31 agosto 2023