Scritto in forma di dialogo, come a due voci, proponendo tesi e antitesi dello stesso argomento, questo libretto denso e complesso ma stimolante intellettualmente, riprende la dimensione del teatro nella sua difficoltà di esprimere ciò che tanto ha fatto discutere i due autori: “il corpo”, a teatro, con gli interpreti, definibile luogo di paradossi e contraddizioni.
Attisani ci ricorda come è stata vissuta la Carmen di Bizet dal filosofo di “Umano troppo umano” Nietzsche. Ovvero con grande trasporto emozionale, fino a piangere per l’eroina che, a causa delle sue passioni umane e contrastanti, viene ammazzata nell’ultima scena. Possiamo chiamare un femminicidio l’atto finale.
Tuttavia il nostro filosofo Nietzsche pensa, nel testo citato sopra: ” come la donna perfetta è l’ozio del creatore del settimo giorno della civiltà, il riposo dell’artista nella sua opera”. Significa che, ribatte Lea Melandri, non c’è identità vera e propria, riconoscimento per noi nell’uomo, l’uomo è un ente a parte da essa.
Antonio Attisani ci tiene a riprendere la tematica del grottesco nel teatro, come ambito emozionale antilogico, ovvero conflittuale, paradossale, ma che permette di proporre la tragicommedia della vita e dell’inconscio.
Lea Melandri, come in un colloquio con il suo Alter-ego maschile, ripropone il mito dell’androgino, mito maschile che la società attuale afferma con un potere fallicizzato, con una visione del materno ormai non più rispettosa dell’Edipo, senza il vero sguardo per quella differenza tra uomo e donna che è rappresentata dalla figura della madre.
La società d’oggi è interamente maschilizzata nei tempi lavorativi, d’istruzione, di impegno sociale, con un ruolo ipersessualizzato della donna. L’estetica femminile è un modello di erotismo maschile, priva di rispetto per la vera femminilità, indegna di un estetismo di facciata, con un corpo femminile senza un’immagine inconscia femminile positiva, ma ancora serva del desiderio dell’uomo.
Infatti è centrale per la Melandri il concetto di: “riappropriarsi del corpo”, il vero perno del discorso dei due autori. Il “corpo” diventa manifestazione delle emozioni, della propria singolarità femminile, della soggettività complessa di donna, ma che viene ancora assoggettata, ovvero assorbita alla figura maschile, vero portatore unico di senso della società patriarcale e moderna, perno del pensiero, ovvero dell’”uomo ad una dimensione”, per citare un titolo di Herbert Marcuse, che scrisse anche “Eros e civiltà”, indiscusso testo di riferimento fra gli epigoni freudiani.
Per concludere, questo testo è, a mio parere, una base di ricerca teorica contemporanea sulle tematiche del femminismo, avendo un confronto nel mondo del teatro, contesto dell’espressione da sempre delle emozioni e dei sentimenti. Leggerlo è arricchente da vari punti di vista, fra cui trovare spunti di critica alla società moderna maschilista attuale, in modo da creare risorse al mondo femminile in sé.