L’avvocat* puo’ mediare il conflitto tra coniugi? , di Simona Napolitani

da | Mag 30, 2013 | L'opinione

La famiglia e la crisi familiare hanno tipologie di relazioni e problemi che cambiano da nucleo a nucleo e il loro diverso combinarsi dà luogo a fattispecie che presentano caratteristiche proprie e soluzioni differenti.
In alcuni casi gli avvocati riescono a “coordinare la genitorialità” e quindi indicare ai clienti una strada, una soluzione, raggiungere una mediazione che abbia ricadute positive sulla gestione della vita dei minori. A mio avviso si tratta di casi numericamente non significativi e quindi tali da non poter costituire un valido riferimento.
Altri casi, per la loro tipologia, non possono essere sottoposti ad una mediazione: l’unica soluzione è l’intervento dell’Autorità Giudiziaria e una sentenza di separazione.

Cerchiamo di capire come si manifesta l’elevato conflitto della coppia genitoriale, in sede processuale, come materialmente si atteggia il comportamento del padre e della madre rispetto alla vita dei loro figli.
I clienti vogliono che gli avvocati siano portavoce delle loro istanze, che si armino per la loro difesa, in questo modo, però c’è il rischio è che si sconfini nel conflitto tra avvocati.
La fine del rapporto tra genitori coinvolge tanti piani:
da un lato la fine del matrimonio o di una stabile convivenza significa il fallimento di un grande investimento: sentimentale, emotivo, economico, lavorativo, di affetti, di scelte fondamentali attinenti la vita di tutti i giorni, di sacrifici;
dall’altro lato c’è da affrontare la gestione genitoriale che significa anche la condivisione di stili, di cultura e di modelli.

Il fallimento dell’unione significa il crollo di tutto ciò, un lutto che coinvolge tutti i piani della tua vita, oltre che la difficoltà di condividere a distanza e su un terreno terremotato, contraddistinto da ripicche e delusioni, la gestione della genitorialità.
Tutto questo ha inevitabili ricadute sul piano giuridico, dove innanzitutto si crea una gran confusione tra delusione, sfiducia, rabbia dell’uno nei confronti dell’altro, e uno scontro sulla diversa impostazione culturale, rispetto ad un modello genitoriale.
Occorrerebbe, invece, la condivisione di un comune modello genitoriale, la necessità di coordinare la genitorialità, avere un’idea comune del senso di responsabilità.
Questo passaggio, a mio avviso, è molto importante, mi chiedo se possa avvenire in un’accesa fase processuale, grazie alla mediazione tra avvocati, senza un’interazione di competenze interdisciplinari.

Sostengo con grande convinzione il principio secondo cui prevenire è meglio di curare. In ragione di ciò appare assai improprio ritenere che noi avvocati disponiamo in esclusiva di strumenti per mediare e direi colmare lacune riconducibili alla formazione culturale delle famiglie.
Il problema è a monte, risiede nella formazione, non si è genitori dal nulla, si può e si deve imparare ad essere genitori, anche grazie ad una formazione specifica, nella fase fisiologica del rapporto. La sensibilità di un padre e di una madre si può affinare, si può rendere più coerente ad un valido progetto genitoriale.

Esistono piani differenti:
 a) Un progetto formativo sulla genitorialità, soprattutto nella fase fisiologica del rapporto o ancor prima, semmai una materia da inserire negli insegnamenti scolastici;
 b) Se nella fase separativa si sconfina nell’elevato conflitto un’interazione di competenze interdisciplinari, tra le quali l’avvocato è uno dei riferimenti.

Anche il piano economico costituisce una frontiera del conflitto. Anche su di esso, oltre alla genitorialità, si riversa l’animosità dei coniugi/genitori.
Dare o non dare denaro, chiedere denaro, un modello culturale della famiglia italiana che vede ancora la moglie in una situazione di debolezza economica e lavorativa, di non autonomia.
Anche questo contribuisce a rendere conflittuale il rapporto.

Non è un caso che nelle coppie di conviventi, laddove le donne non possono chiedere un mantenimento per sé, sono più motivate a crearsi una loro autonomia economica, sia pure fatta di piccoli lavori, spesso in nero o part time la lite riguarda solo la genitorialità, questo senz’altro riduce l’area del conflitto.
I genitori devono sapersi mettere in discussione.
Anche questo, ritengo sia un passaggio importante: la capacità dei genitori di mettersi in discussione, invece di puntare il dito contro l’altro. Ci vuole coraggio e onestà intellettuale. Su questo anche noi avvocati possiamo spingere i clienti ad una riflessione nel senso di far capire che genitori si è in due e non è possibile non avere un occhio sull’altro e un occhio su di sé.

 Qual è la soluzione. Forse nella possibilità di sostenere le famiglie con una specifica formazione, con l’insegnamento di materie specifiche, sin dai banchi di scuola, con la presenza di uno Stato sociale forte, con la possibilità di garantire a tutti un sostegno alla genitorialità, anche quando le cose “appaiono normali”.
L’impatto dell’affidamento condiviso sulle coppie altamente conflittuali.
Parlando di conflitto, è opportuno una riflessione in merito all’impatto dell’affidamento condiviso sulle coppie altamente conflittuali, e su come condiviso e conflitto interagiscono.

La giurisprudenza e la dottrina hanno fornito risposte assai diverse, si è passato dall’affermare che “l’affidamento condiviso si può realizzare solo in presenza di una convergenza di intenti e con una consapevole adesione ad un programma genitoriale educativo comune, difficilmente realizzabile tra chi ha scelto di porre termine al consorzio familiare con toni di acceso conflitto”, oppure “imporre a coppie in conflitto dialogo e condivisione rappresenta un controsenso” a sostener che “La conflittualità tra la coppia non basta per derogare all’affido condiviso della prole”.

Con il tempo questa querelle giurisprudenziale si è affievolita, oggi possiamo dire che mediamente l’elevato conflitto non è ostativo per l’applicazione del condiviso, anche se, a mio avviso, in questi casi l’applicazione della Legge 54/06 è solo una soluzione nominale, non sostanziale, condiviso e conflitto costituiscono un ossimoro e l’abbiamo visto con i casi di cui abbiamo parlato.
Anche se da altro punto di vista la previsione normativa come obbligo di principio ha una sua funzione educativa e quindi stimola una diversa formazione culturale, possiamo parlare di una funzione pedagogica della legge.

La difficoltà di coordinare la genitorialità
Questa digressione sul condiviso ha il senso di dimostrare la difficoltà di coordinare la genitorialità, se sin’anche i Giudici, strenui fautori della bi genitorialità, abdicano in presenza di un forte conflitto.

Diamo uno sguardo al profilo deontologico.
Le norme deontologiche che riguardano la professione dell’avvocato devono avere come riferimento i principi di responsabilità etica e sociale.
 Innanzitutto come è stato che ” l’avvocato può agire nel rispetto delle regole che disciplinano l’esercizio della professione, ma se è incompetente o impreparato non tutela ‘interesse del cliente e non svolge un servizio socialmente utile.”

Questo principio è ancora più vero nell’ambito del diritto di famiglia, dove la formazione dell’avvocato dovrebbe comportare l’acquisizione di conoscenze delle discipline sociali e psicologiche, competenze di negoziazione e media-zione nella gestione del conflitto familiare. Il nostro codice deontologico non prevede norme specifiche di deontologia cui debba attenersi l’avvocato che tratta questa materia.

Ad integrazione dell’art. 36 sarebbe necessario precisare che l’avvocato, nell’assistere la parte nei procedimenti di famiglia e minorili, deve privilegiare gli strumenti della negoziazione e della mediazione per raggiungere soluzioni conciliative.

Esistono alcuni principi cardine, che credo vadano sempre e comunque rispettati:
 L’avvocato deve aiutare il cliente a confrontare le proprie aspettative /pretese con il dettato normativo e con gli orientamenti giurisprudenziali che viggono sulle richieste che il cliente intende ottenere; NON CREARE FALSE ASPETTATIVE
 Ha l’obbligo di fare emergere in via prioritaria le esigenze della prole;
 Prima di dar corso ad un procedimento deve contattare la controparte invitandola a confrontarsi stragiudizialmente con l’assistenza di altro legale per cercare una soluzione concordata;
 Deve chiedere l’ausilio di una competenza interdisciplinare;
 ha il dovere di informare il cliente sulle diverse procedure alternative di composizione del conflitto, finalizzate al raggiungimento di una soluzione concordata.
 non deve avere colloqui con i figli minori del proprio cliente, ancor più sulle circostanze oggetto del procedimento, anzi l’avvocato deve adoperarsi anche con la parte che assiste affinchè i figli minori non vengano coinvolti nel conflitto.

Il conflitto può nascere o si può acuire dopo l’emissione dei provvedimenti presidenziali, quando i genitori devono eseguire le regole dettate dall’Autorità Giudiziaria, quando il marito o la moglie devono lasciare la casa coniugale ed iniziare ad essere genitori a distanza, quando non si versano i soldi per il mantenimento, quando non si va a prendere il figlio o non lo si riaccompagna in tempo; quando il bambino, dopo la frequentazione con il genitore non convivente, torna a casa malato o raffreddato, bruciato dal sole, senza aver cenato, senza aver fatto i compiti.
 Quando lui o lei iniziano un’altra relazione e i figli iniziano a frequentare il nuovo compagno o la nuova compagna.
 Quando un genitore denigra la figura dell’altro, parlando male al figlio del padre o della madre.

La specializzazione e la formazione degli avvocati può essere una risposta a questi problemi, ma non è certo l’unica soluzione, il percorso da seguire è anche culturale, senza una crescita dei genitori in questo senso, è difficile che la mediazione tra avvocati possa da sola contribuire a contenere il conflitto.

Insomma, la risposta al titolo/domanda del mio articolo è positiva se entrano in gioco diverse risorse, è difficile ma sono convinta che ce la faremo.

Simona Napolitani, ass. Codice donna

il paese delle donne