di Marinella Fiume – Iacobelli ed.
Lo stupro a danno delle popolazioni civili durante i conflitti armati è strumento di guerra, anche se spesso nascosto e ignorato come crimine di guerra. Le donne sono considerate parte del bottino di guerra, lo stupro viene minimizzato come naturale conseguenza del fatto che gli uomini sul fronte sono lontani dalle loro famiglie, che i soldati meritano un compenso alle loro fatiche, un sollievo allo stress.
È un modo “naturale” di dimostrare il loro coraggio e la loro virilità. Il fenomeno diffuso dei bordelli di guerra al seguito degli eserciti ne è una dimostrazione. Insomma il fenomeno è ancora una volta frutto dello stereotipo patriarcale secondo cui la violenza appartiene al maschio e subirla è destino delle donne, sempre inevitabili vittime. A raccontare tutto questo non sono le carte degli archivi, né gli scrittori o i registi, ma le nipoti e i nipoti di quelle donne, quelle che, in Sicilia, non hanno mai raccontato né denunciato e si sono portate nella tomba il peso del macigno che ha gravato per tutta la vita sul loro cuore.