Le donne, in generale, sono contrarie a ricorrere alle guerre perché danno la vita e ne curano altre: questo le porta a detestare la sola idea che molte vite vengano recise indiscriminatamente per interessi di pochi decisori. Le femministe in particolare sono da sempre dichiaratamente pacifiste.
Le ecofemministe, ancora più profondamente, non violente, ripudiano tutte le violenze contro umani, gli altri animali, le piante e ambiente, e naturalmente le guerre, dichiarate sempre da maschi con la connivenza di donne di potere omologate. Sono anche contro la violenza di ogni livello ed ogni parte: famiglia, religione, polizie e Stati. La guerra appartiene alla mentalità predatoria maschile, come la volontà di possesso, l’onore patriarcale, lo stupro anche domestico, etnico e di guerra, la mascolinità militarizzata, tipicamente di estrazione di destra. La Costituzione italiana è stata emanata, dopo una guerra mondiale tragica ed all’uscita da una lunga dittatura fascista e maschilista, da parte di una Assemblea composta finalmente anche da donne che, seppure solo in ventuno, hanno scritto i principi fondamentali e l’art. 11: “la Repubblica ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Noi ecofemmministe italiane siamo quindi coerenti con i principi costituzionali nel denunciare i massacri che il governo Netanyahu sta facendo nei confronti della popolazione palestinese, costretta ad assieparsi a Gaza.
Alcuni Palestinesi convivono in Cisgiordania con coloni sempre più aggressivi e oggi spinti anche dal Governo ad occupare la gran parte dei loro territori.
La narrazione autoassolutoria da parte del Governo di estrema destra israeliano sul’ origine del suo attacco massiccio sia a Gaza che in Cisgiordania è stata da subito condivisa dai media internazionali, su pressione delle lobby industriali, finanziarie e politiche a influenza ebraica, soprattutto nordamericane. Nessuno e nessuna, tantomeno noi Ecofem, può giustificare e perdonare l'attacco, militare e sanguinoso, della formazione di Hamas del 7 ottobre 2023, contro quello che inizialmente era un rave internazionale di giovani, molti dei quali israeliani. Non si può non notare però che la reazione crudele e spropositata contro i civili palestinesi ammassati nei loro residui spazi veniva rivendicata come diritto di difesa conseguente al sanguinoso attacco terrorista. Chi denunciava l'invasione di ulteriori terre palestinesi cisgiordane da parte di coloni armati, le distruzioni a Gaza, già una prigione a cielo aperto con milioni di abitanti, e lo sterminio di decine di migliaia di civili e minori incolpevoli, veniva pubblicamente tacciato di collusione con i
terroristi e di antiebraismo. Erano invece oscurate dai media le manifestazioni internazionali oceaniche di protesta contro i massacri ai civili palestinesi, mentre si dava riscontro ai pericoli di eventi antiebraici senza parlare di una deprecabile posizione di molti ebrei all’estero, che difendevano a priori le azioni del governo di Israele che diffondeva notizie di azioni aberranti di miliziani palestinesi come infanticidi, stupri, taglio di teste, poi ritrattate. Solo in notizie o articoli di nicchia si potevano riscontrare dettagli più scabrosi per Israele. Come il fatto non verosimile che i suoi Servizi segreti, onnipotenti e onnipresenti, non fossero a conoscenza dell’organizzazione dell’ attacco di Hamas: ed infatti pare ormai accertato che l’informazione sia stata volutamente trascurata. Il fatto che il governo stesso finanziasse Hamas dalla sua nascita, nel 2006, se inizialmente aveva avuto lo scopo di indebolire l’OLP e le forze moderate, più di recente, probabilmente ha inteso favorire una ribellione, l’alibi perfetto per la “soluzione finale”: liberare dai Palestinesi l’intero territorio, con qualsiasi mezzo e, grazie alla supremazia bellica, bombardando, affamando, assetando, sottraendo mezzi e medicine, impedendo rifornimenti umanitari, accusando l’UNRWA di collusione per impedirne i finanziamenti e suggerendo la deportazione dei sopravvissuti nel desertico Sinai egiziano o in altre regioni africane. Altre informazioni, non facilmente disponibili nei media, riguardano grandi interessi economici di Israele pronti ad appropriarsi di risorse energetiche rinvenute nel territorio attuale della Striscia di Gaza, che le consentirebbero l’autonomia economica: giacimenti di petrolio nella parte a Nord, e di gas
naturale a 30 chilometri dalla costa; in quest’ultimo affare è coinvolta ENI.
Lo scambio concordato di prigionieri israeliani rapiti da Hamas con altri fra le migliaia di palestinesi già detenuti, pur se in proporzione maggiore, è stato seguito dalla carcerazione, come sempre senza garanzie ne’ prove, di altrettanti civili, compresi donne e minori, nonostante le continue proteste e richieste di non belligeranza dei parenti dei rapiti israeliani.
Nonostante la propaganda retorica israeliana, l’solamento della Striscia, sotto apartheid e circondata da un muro con pochi varchi controllati, l'impedimento provocato ai mezzi di comunicazione e l’uccisione di un grande numero di giornalisti, la misura della crudeltà è emersa.
A distanza di quattro mesi, un solo Stato, il Sud Africa, ha reagito con uno strumento di ricorso di diritto internazionale, appellandosi alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, accusando Israele di genocidio. Il 26 gennaio 2024 la Corte si è espressa accettando di valutare il ricorso, in quanto non manifestamente infondato, e dettando allo Stato di Israele prescrizioni di interrompere con immediatezza le ostilità: non avendo altri poteri impositivi, la direttiva è stata prevedibilmente ignorata, nonostante diversi Stati sudamericani abbiano ufficialmente appoggiato il ricorso del Sud Africa, come loro segnato di recente da regimi ed apartheid. A questo proposito, chiediamo al nostro governo di unirsi al sostegno al ricorso presso la Corte dell’Aja, riconoscendo la necessità immediata di uno Stato Palestinese, anche sotto il profilo della legittimità a stipulare accordi, concessioni e contratti. Pur se rappresenta un passo avanti, non è sufficiente la mozione parlamentare sul cessate il fuoco e rilascio degli ostaggi, raggiunta su accordo Schlein Meloni.
Come prevedibile, le azioni del Governo israeliano mettono a rischio anche la stabilità di più Paesi: oltre ai territori palestinesi, sono state bombardate zone degli Stati limitrofi. Già negli anni ‘70 Israele si era del resto appropriata di territori in Egitto, Siria e Libano e non aveva poi rispettato gli accordi di Oslo con l'OLP del 1993, in cui i due Stati si riconoscevano vicendevolmente, con il diritto della Palestina a propri territori in Cisgiordania e Gaza, dimostrandosi ancora inaffidabile.
Sussiste per noi ecofemministe e non solo, il timore che Stati bellicosi prendano ad occasione la difesa della popolazione araba per scatenare conflitti in un Medio Oriente instabile, in primis l’ Iran,
o influiscano nell’economia mondiale come avviene già con i blocchi nel Mar Rosso, o si rivitalizzi il terrorismo internazionale con il reclutamento di fanatici e mercenari.
Gli incalcolabili danni di guerra non verranno probabilmente mai risarciti, neppure a responsabilità conclamata; sappiamo che non esiste tale obbligo, nel pure ignorato diritto internazionale, se non per accordi di pace tra gli Stati belligeranti, che nella situazione attuale sono improponibili, anche per l'espediente di Israele di non riconoscere uno Stato palestinese, contraddicendo anche sé stessa.
Oltre ai danni materiali, come la distruzione quasi totale della Striscia, risultano devastanti i danni emotivi, incalcolabili ed irrimediabili dovuti ai continui esodi, alle deprivazioni, morti, malattie, ferite e invalidità permanenti che lasceranno segni indelebili: ci si riferisce anche agli shock subiti dai molti minori sopravvissuti, spesso rimasti orfani, per i quali il futuro sarà privo di prospettive e certezze, il che favorirà cinismo, fanatismi ed integralismi sfruttabili. Gli esodi tanto temuti saranno inevitabili e tragici, perché difficilmente ai Palestinesi sarà riservato il diritto di asilo concesso ai profughi Ucraini, un’azione che, come ecofemmministe, reclamiamo fin da ora per equità dall’Europa.
Sotto il profilo ambientale, il costo causato dall’azione bellica in Palestina è pesantissimo. Per i primi due mesi, le emissioni di gas climalteranti derivanti dalla guerra e dalla catena di approvvigionamento bellico sono state calcolate in due milioni di tonnellate di CO2 equivalente; a Febbraio 2024 possiamo quindi ritenerne 4 milioni, quanto prodotto in due anni dal Niger; nel calcolo sono compresi anche i viaggi aerei sia dei cargo USA che trasportano rifornimenti bellici che degli aerei israeliani, le esplosioni di bombe, razzi e munizioni. Resteranno sul terreno per anni le sostanze inquinanti conseguenti al conflitto; anche la rimozione dei detriti e la ricostruzione degli edifici distrutti avranno un peso ambientale enorme, ed il tutto peserà sul resto del mondo, anche se non considerato nei trattati sul clima.
Noi ecofemmministe facciamo quindi appello ai leader nazionali ed europei, che finora non hanno attuato strategie efficaci nel por fine ai conflitti in corso, di non rimanere più impassibili a fronte di stragi di soldati e di civili e a devastazioni di città e territori. Occorrono quanto prima proposte convincenti di negoziazione. Smettiamo di affidare le sorti di interi popoli all’esito ottenuto attraverso l'uso massiccio di armi.
Da parte nostra diciamo che il solo riconoscimento generico dello Stato Palestinese non risolverà il problema di chi lo governerà, e non potrà certo essere Hamas, ma nemmeno una corrotta e poco credibile Autorità Palestinese intrisa di machismo e di una cultura patriarcale. Bisognerà occuparsi subito di promuovere una maggiore partecipazione femminile nei luoghi di potere.
Coordinamento nazionale ecofemministe
14 febbraio 2024