di Maria Cecilia Guerra
L’ultima edizione del bilancio di genere, curato dal Dipartimento della Ragioneria dello Stato, ci racconta l’anno della pandemia in una prospettiva di genere. Messi tutti in fila, i dati fanno davvero impressione, in particolare per quanto riguarda il mercato del lavoro. L’occupazione femminile cade al 49%, al di sotto di quella maschile di ben 18,2 punti percentuali. Una distanza in crescita rispetto al 2019, così come è in crescita la distanza dal 62,7% del tasso di occupazione femminile medio europeo.
Le donne sono rimaste a casa perché lavorano di più nei settori più colpiti dalla pandemia (commercio, sociale, ristorazione, turismo) e perché non potevano essere difese dal blocco dei licenziamenti, dal momento che il loro lavoro è spesso a termine. Con la pandemia è cresciuto ancora di più il part time involontario delle donne, al 61,2% contro il 21,6% medio delle donne europee.
E allora non chiediamoci più perché aumenta l’insicurezza delle donne rispetto alla propria posizione lavorativa, con un aumento della percentuale di quelle che temono di perdere il lavoro che sale dal 6 al 7,2% nell’anno del Covid. La risposta è nei numeri.Ma per capire davvero la drammaticità del rapporto donne – mercato del lavoro nel nostro paese è interessante adottare una lente speciale, quella delle giovani donne, diciamo fra i 15 e i 34 anni.
Ecco cosa vediamo. Solo una su tre (33,5%) è occupata. Il titolo di studio le protegge molto relativamente: se laureate, trovano lavoro entro tre anni dal conseguimento del titolo di studio nel 61,2% dei casi, contro il 68,2% dei maschi e l’82,6% medio delle giovani donne della Ue. Se diplomate, questa percentuale crolla al 41%, con una forbice che nella pandemia si è allargata sia rispetto ai giovani maschi (55,3%), sia rispetto alle giovani donne della Ue (67,4%). La percentuale di giovani Neet passa in un anno dal 27,9 al 29,3%. Anche in questo caso i punti di differenziale coi giovani Neet sono 8,3, e sono più di 11 rispetto alla media delle giovani della Ue.
Ma concentriamoci ora sulle giovani madri, quelle fra i 25 e i 34 anni d’età: se hanno un figlio in età pre scolare il loro tasso di occupazione è solo il 57,5% di quello delle giovani della stessa età ma senza figli. E non è solo colpa della pandemia, perché questa percentuale è in continuo, inesorabile, calo, anno dopo anno, almeno dal 2014, quando era pari al 66,6%.
Nella pandemia sono state queste giovani donne, e in generale tutte le donne con un figlio di età pari o inferiore ai 4 anni, che hanno preso i congedi Covid: nell’84% dei casi, mentre i padri solo nel restante 16%. Sono sempre loro che nel 2020 hanno chiesto convalida di dimissioni volontarie in misura tre volte superiore agli uomini, motivandole, in larga parte, con difficoltà di conciliazione.
E adesso smettiamola di chiederci perché nel nostro paese aumenta progressivamente l’età media del primo parto e si allarga il gap fra numero di figli desiderato e numero di figli realizzato. La risposta è nei numeri.