Le parole sbagliate. Le donne in ostaggio dei vecchi stereotipi

da | Feb 11, 2021 | L'opinione

di Linda L. Sabbadini*

Pregiudizi. Stereotipi. Molto diffusi nella nostra società. Non sempre li riconosciamo, eppure spesso li trasmettiamo.
La verità è che non sono eliminabili. Ognuno di noi può esserne veicolo,anche inconsapevole. Ma possono causare danni gravi, perché riproducono ingiustizia e
discriminazione, si trasformano in catene culturali nefaste, limitano percorsi di libertà. E allora dobbiamo porvi attenzione. Ancora di più se lavoriamo e agiamo in contesti cruciali come aule dei tribunali, scuole o mass media. C'è un'unica strada per prendersi cura degli stereotipi: esserne consapevoli,imparare a riconoscerli e a prevenirli,perché ci sono alcuni più di altri che possono pagarne le conseguenze come le donne, le persone lgbt e tutte le minoranze, etniche, religiose e non.
Voglio ricordare due date, il 19 maggio 1975 e il 5 agosto 1981. Vi chiederete il perché. 111975 è l'anno del nuovo diritto di famiglia. Con quella legge, una pietra miliare della nostra legislazione, si abroga il “diritto” ad avere rapporti sessuali con la propria compagna anche se non consenziente. Fino a quel momento in Italia vigeva formalmente la cultura del possesso e non quella del rispetto. E, in fondo, non è un tempo poi così lontano.
Fino al 1981, invece, esisteva un articolo del codice penale che puniva con il carcere da 3 a 7 anni chi uccideva la propria moglie o la propria compagna a seguito di un adulterio, e la ragione di una pena così mite era il riconoscimento dello “stato d'ira” determinato dall'offesa all’'onore”. Oggi il raptus di gelosia di cui ci capita di sentir parlare sui media o nei tribunali, in occasione di un femininicidio, è un retaggio di una cultura arcaica che pone di fatto un'attenuante culturale.
Corte di Cassazione e Corte Costituzionale nelle loro sentenze hanno più volte messo in guardia dai retaggi di cultura arcaica presenti nel nostro Paese. E importante comprendere che la battaglia dei diritti è prima di tutto una battaglia culturale.
Se non cambia la cultura, i diritti rimangono formali e non diventano sostanziali, non vivono nella quotidianità e ostacolano il raggiungimento dell'uguaglianza. L'articolo 3 della Costituzione è proprio lì ad indirizzarci. Per questo è essenziale la consapevolezza di ognuno di noi, per evitare di essere un anello nella catena di trasmissione di pregiudizi che limitano la libertà e l'inviolabilità delle donne, e di tutte le minoranze.
Per questo è urgente che si sviluppi una educazione aí diritti, alla parità, alla cultura del rispetto che è diametralmente opposta a quella del possesso, dell'autonomia finanziaria, alla cura, alla corretta gestione delle relazioni, fin dalla più tenera età, nelle famiglie e nella scuola.
Aggiungo un ultimo dato su cui riflettere. Esiste una regola nel nostro sistema giuridico secondo la quale si può condannare una persona avendo solo come prova la testimonianza della vittima, e sulla base di un vaglio adeguato e di una valutazione del giudice, qualunque sia il reato. Viene usata nei casi di rapine, di furti, di spaccio di droga. Eppure, quando si arriva alla violenza contro le dorme, soprattutto se l'abusante e il maltrattante è suo marito, questa norma vale molto meno. Chiediamoci i1 perché.

*Linda Laura Sabbadini è direttora centrale dell'Istat. Le opinioni qui espresse sono esclusiva responsabilità dell'autrice e non impegnano l'Istat

La Repubblica, 11/02/2021