Domani martedì 8 aprile al Consiglio Nazionale delle Ricerche di Piazzale Aldo Moro a Roma verrà presentato il “Manifesto per un’Europa di progresso”. Si tratta di un contributo che un folto gruppo di scienziati italiani, alcuni di loro con incarichi istituzionali rilevanti, hanno inteso dare per un concreto rilancio del sogno degli Stati Uniti d’Europa, proprio nel momento di maggior difficoltà della sua realizzazione
Il mondo è in rapida trasformazione. Società ed economia della conoscenza hanno profondamente ridisegnato equilibri ritenuti consolidati. Aree geografiche depresse hanno conquistato, in tempi storicamente irrisori, potenziali enormi di sviluppo e crescita. Conoscenza, cultura e innovazione rappresentano più che mai il traino decisivo verso il futuro.
All’opposto l’Occidente, e alcuni aspetti del suo modello di sviluppo, sono entrati in una crisi profonda. L’Europa, in particolare, risulta investita da gravissimi e apparentemente irresolubili problemi: disoccupazione, crisi del tessuto produttivo, riduzione sostanziale del welfare. A pochi anni dalla sua formale consacrazione, con la nascita ufficiale della moneta comune, l’Europa rischia di deflagrare come sogno di una comunità di cittadine e cittadini che avevano ambito ad una nuova Nazione comune: più ampia non solo geograficamente, quanto nello spazio dei diritti, dei valori e delle opportunità. Lo storico americano Walter Laqueur ha parlato della “fine del sogno europeo”.
Le responsabilità sono diverse e distribuite e investono certamente l’eccessiva timidezza nel processo di costituzione politica del soggetto europeo: la responsabilità di presentare questo orizzonte politico, culturale e sociale con le sole fattezze della severità dei “conti in ordine”. L’Europa dei mercanti e dei banchieri, della restrizione e del rigore: una sorta di gendarme che impone limiti spesso insensati, piuttosto che sostegno nell’ampliare prospettive di visuale sugli sviluppi del futuro.
Proprio a causa di ciò, assistiamo, in corrispondenza della crisi, ad un’impressionante crescita di egoismi locali, di particolarismi e di veri e propri nazionalismi.
Fenomeni spesso intenzionalmente organizzati per sfruttare malesseri veri, e reali stati di sofferenza, ma che rischiano di produrre reazioni esattamente opposte a quanto oggi servirebbe alle popolazioni d’Europa.
Come scienziate e scienziati di questo continente – consapevoli che esiste un nesso inscindibile tra scienza e democrazia – sentiamo quindi la necessità di metterci in gioco. Di ribadire che il processo di costruzione degli Stati Uniti d’Europa è la più importante opportunità che ci è concessa dalla Storia. Che società ed economia della conoscenza -essenziali per il processo di reale evoluzione civile, pacifica, economica e culturale- si alimentano di comunità coese e collaborative, di comunicazioni intense e produttive e di uno spirito critico che permei strati sempre più vasti della società.
L’unica risposta possibile alla crisi incombente è allora la costruzione dell’Europa dei popoli, di un’Europa di Progresso! Realizzata sulla base dei principi di libertà, democrazia, conoscenza e solidarietà.
Nutriamo la stessa speranza con cui Albert Einstein e Georg Friedrich Nicolai nel “Manifesto agli Europei” del 1914 richiamarono alla ragione i popoli europei contro la sventura della guerra, e con cui Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi ispirarono l’idea d’Europa nel loro “Manifesto di Ventotene” del 1943. Le stesse idee che ebbero indipendentemente fautori illustri anche in tutti i Paesi d'Europa.
Vogliamo riprendere ed estendere all’Europa lo spirito che nel 1839 portò gli scienziati italiani a organizzare la loro prima riunione e a inaugurare il Risorgimento di una nazione divisa.
Promotori (*) e Primi firmatari
Ugo AMALDI (CERN, Ginevra)
Giovanni BACHELET (Università di Roma “La Sapienza”)
Giorgio BELLETTINI (Università di Pisa e INFN)
Carlo BERNARDINI(*) (Università di Roma “La Sapienza”)
Sergio BERTOLUCCI (Direttore di ricerca, CERN, Ginevra)
Vittorio BIDOLI (INFN, Roma)
Giovanni BIGNAMI (Presidente Istituto Nazionale di AstroFisica – INAF)
Marcello BUIATTI (Università di Firenze)
Cristiano CASTELFRANCHI (Università Luiss, Uninettuno e ISTC-CNR)
Vincenzo CAVASINNI(*) (Università di Pisa e INFN)
Remo CESERANI (Università di Bologna e Stanford University, CA)
Emilia CHIANCONE (Presidente Accademia dei Quaranta)
Paolo DARIO (Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa)
Tullio DE MAURO (Università di Roma “La Sapienza”)
Luigi DI LELLA (CERN, Ginevra)
Rino FALCONE (*) (CNR Roma, Direttore Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione)
Stefano FANTONI (Presidente Agenzia Nazionale Valutazione Università e Ricerca)
Sergio FERRARI (già vice direttore ENEA)
Ferdinando FERRONI (Presidente Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – INFN)
Fabiola GIANOTTI (CERN, Ginevra)
Mariano GIAQUINTA (Scuola Normale Superiore, Pisa)
Pietro GRECO (*)(Giornalista e scrittore, Roma)
Angelo GUERRAGGIO (Università Bocconi)
Fiorella KOSTORIS (Agenzia Nazionale Valutazione Università e Ricerca)
Francesco LENCI (*) (CNR Pisa e Pugwash Conferences for Science and World Affairs)
Giorgio LETTA (Vice Presidente Accademia dei Quaranta)
Lucio LUZZATTO (Istituto Toscano Tumori)
Tommaso MACCACARO (INAF)
Lamberto MAFFEI (Presidente Accademia dei Lincei)
Italo MANNELLI (Scuola Normale Superiore, Pisa e accademico dei Lincei)
Giovanni MARCHESINI (Università degli studi di Padova)
Ignazio MARINO (Thomas Jefferson University, Sindaco di Roma)
Annibale MOTTANA (Università di Roma 3 e accademico dei Lincei)
Paolo NANNIPIERI (*) (Università di Firenze)
Pietro NASTASI (*) (Università di Palermo)
Luigi NICOLAIS (Presidente Consiglio Nazionale delle Ricerche – CNR)
Giorgio PARISI (Università di Roma “La Sapienza”, accademico dei Lincei)
Maurizio PERSICO (Università di Pisa)
Giulio PERUZZI(*) (Università degli studi di Padova)
Caterina PETRILLO (Università degli studi di Perugia)
Pascal PLAZA (CNRS e Ecole Normale Supérieure, Paris)
Claudio PUCCIANI (*) (Vice Presidente Associazione Caffè della Scienza – Livorno)
Michael PUTSCH (CNR Genova, Direttore Istituto di Biofisica)
Carlo Alberto REDI (Università di Pavia)
Giorgio SALVINI (Università di Roma “La Sapienza”, già Presidente dell’Accademia dei Lincei)
Vittorio SILVESTRINI (Presidente della Fondazione IDIS – Città della Scienza, Napoli)
Settimo TERMINI (*) (Università di Palermo)
Glauco TOCCHINI-VALENTINI (National Academy of Sciences, CNR-EMMA-Infrafrontier-IMPC, Monte Rotondo, Roma)
Guido TONELLI (CERN, Ginevra e Università di Pisa)
Enric TRILLAS (Emeritus Researcher European Centre for Soft Computing, già Presidente CSIC, Spagna)
Fiorenzo UGOLINI (Università di Firenze)
Nicla VASSALLO (Università di Genova)
Virginia VOLTERRA (Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione – CNR)
Elena VOLTERRANI (*) (Provincia di Pisa e INFN)
John WALSH (INFN)
Domani martedì 8 aprile al Consiglio Nazionale delle Ricerche di Piazzale Aldo Moro a Roma verrà presentato il “Manifesto per un’Europa di progresso”. Si tratta di un contributo che un folto gruppo di scienziati italiani, alcuni di loro con incarichi istituzionali rilevanti, hanno inteso dare per un concreto rilancio del sogno degli Stati Uniti d’Europa, proprio nel momento di maggior difficoltà della sua realizzazione. Il “Manifesto” origina dalle preoccupazioni che gli scienziati valutano nei riguardi di un processo d’integrazione delle nazioni europee in profonda crisi. Dalla consapevolezza che la piena estensione dei confini oltre i limiti nazionali rischi d’interrompersi bruscamente a causa delle inadeguatezze strategiche di chi fino ad ora ha condotto questo progetto. Dalla constatazione che le opportunità di reale progresso per i cittadini europei, in ambito di sviluppo civile, economico, democratico, culturale, pacifico, non possano prescindere dalla realizzazione di un’Europa dei popoli. Scienza, sapere e nuova conoscenza tendono a svilupparsi in modo naturale e hanno da sempre oltrepassato qualunque limite geografico, artificiale o mentale che si sia provato loro ad imporre. Gli scienziati intendono testimoniare la straordinarietà di questa “natura” che poi altro non è che la natura stessa dell’uomo, consapevoli che lo sviluppo e la diffusione del pensiero critico, che è proprio della scienza, possa contribuire ad ampliare l’esercizio effettivo dei diritti e della partecipazione democratica. Il riferimento esplicito va ad altri storici Manifesti, quali quello di Einstein e Nicolai; e quello di Spinelli, Colorni e Rossi. Ricordando che nella prima metà dell’Ottocento riunioni di scienziati italiani contribuirono alla realizzazione concreta dell’unità d’Italia, si propongono di dare un contributo per una realizzazione piena dell’unione politica dell’Europa, di un’Europa dei popoli. La stesura del Manifesto ha visto per ora coinvolti, a parte pochissime eccezioni, i soli scienziati italiani. L’obiettivo è di estendere rapidamente questa iniziativa in tutta Europa, provando ad avviare un movimento che possa sollecitare l’intera società continentale.
“Per una politica di cooperazione europea”
di Carlo Bernardini
La storia d’Italia insegna che un elemento di unità culturale come l’antichità romana e la radice linguistica possono determinare motivi naturali di cooperazione anche fra popoli che si sviluppano con tradizioni locali molto diverse. Il Risorgimento mostra che comunità regionali come piemontesi, lombardo-veneti, romagnoli, centro-italiani, meridionali e isolani possono trovare una convenienza comune in una conduzione politica unitaria per tutto il paese. Come si può facilmente constatare l’unità culturale che si realizza anche nella lingua ha la meglio persino su interessi economici e locali molto diversi. Il motivo dell’unificazione risorgimentale è evidentemente più forte per l’Italia di quanto oggi non sia per l’Europa la moneta comune (euro) per la ancora non nata ”Federazione Europea”. La nazione Italia ha largamente profittato in questo della convenienza di programmare centralmente e unitariamente lo sviluppo economico e sociale di tutto il paese, nonostante le difficoltà derivanti da tradizioni locali difformi. Servizi pubblici, approvvigionamento di risorse, commercio estero, e altre attività comuni hanno adottato indirizzi che, quando il sistema ha funzionato bene, hanno realizzato economie di scala non trascurabili. Riflettendo su un possibile sviluppo dell’esperienza europea attuale nel senso confortato dal caso storico italiano, abbiamo perciò pensato che la comunità scientifica europea, analizzando le possibili “economie di scala” realizzabili con attività sia scientifiche che tecnologiche avanzate, potrebbe raggiungere autonomi livelli di welfare senza indebitarsi troppo con più puntuali sviluppi extracomunitari. Questo obiettivo necessita ovviamente di forme efficienti oltreché competenti di coordinamento della programmazione e della condivisione della ricerca; che non appaiono impossibili se si pone attenzione alla storia e ai risultati di strutture internazionali come il CERN di Ginevra, l’Agenzia Spaziale, i centri biomedici, e altri centri europei già rinomati. Urgente sarebbe perciò un piano comunitario che riconoscesse le opportunità di massimo interesse, individuasse in ciascuna gli interlocutori più rappresentativi, ne sollecitasse le valutazioni di merito e le proposte operative. Insomma, un programma sovranazionale attorno a cui chiamare e attivare una cultura scientifica europea fortemente cooperativa liberata da burocrazie locali e inopportune rivendicazioni di sovranità. Non pensiamo che questi propositi siano risolutivi di tutti i problemi dell’auspicabile unificazione politica ed economica europea, ma crediamo che la strada sia quella meno intralciata da vecchi nazionalismi e pregiudizi grazie ad esperienze già fatte nei decenni del secolo scorso.
“Perché ho firmato”
di Nicla Vassallo
Con dispiacere non riesco a partecipare, martedì 8 aprile, a Roma, alla presentazione del “Manifesto per un’Europa di progresso”. Cosa avrei detto, o cosa direi se fossi a Roma? Avrei precisato alcune ragioni che mi hanno condotto a firmare il “Manifesto”. Ci viene proclamato, su più fronti, da parecchi anni, che il mondo sta attraversando una crisi economica mondiale, eppure parecchi Stati (da alcuni mediorientali agli orientali, da alcuni russi ad altri sudamericani, senza poi menzionare ancor altri africani) godono di una rilevante crescita economica, benché da loro illuminismi, rivoluzioni scientifiche e via dicendo siano “merce rara” – o, forse, proprio per questo? Rimane, invece, vero che una forte crisi economica riguarda l’Europa. Quando, in passato, una di queste crisi ci ha attraversato, alcuni di noi hanno perduto del tutto il lume della ragione, e hanno (per esempio) dato fuoco ai libri, al sapere, alla cultura, con grande ignoranza scientifica, per poi proseguire ben oltre, troppo oltre, e a loro non concederò alcun perdono. Ho firmato il “Manifesto” perché credo fermamente nella razionalità, una razionalità che nasce con filosofia e scienza, e che relega fideismi, estremismi, nazionalismi nell’angolo di quella non-considerazione o, se volete, disprezzo, che essi meritano. Questo nostro “vecchio continente” ha attraversato brutte storie e sconvolgenti vicende, ma alla fine la razionalità ha sempre prevalso. Si tratta di una razionalità che garantisce diritti e doveri, civiltà e umanità, all’insegna di una democrazia, che non dovremmo mai perdere di vista, perché, al di là del significato etimologico di democrazia, non si dovrebbe cedere all’arroganza e alla prepotenza, né dei più forti, né dei più deboli. Si tratta di una razionalità che costituisce un tesoro per la nostra aspirazione alla conoscenza, aspirazione che, nel momento in cui manca (come ci ricorda Aristotele, e non solo lui) noi finiamo col perdere la nostra essenza di esseri umani, per trasformarci in bruti. Il nostro aspirare alla conoscenza, filosofica e scientifica, il nostro credere nella scienza e nei progressi scientifici ha rappresentato e rappresenta la nostra libertà, cui ambiamo da sempre. No, ha torto Walter Laqueur nel suo decretare la fine del sogno europeo: se il sogno europeo finisse, la probabilità del dominio della brutalità s’incrementerebbe in modo esponenziale. Io, perlomeno, non cesserò di sognare: primo, perché non si è trattato, né si tratta di un sogno; secondo, perché, se dovrò finire col sognarlo, e non più col viverlo, vorrà dire che inciviltà e disumanità avranno prevalso sulla razionalità, filosofica e scientifica, sulla condivisione oggettiva del sapere, sul progresso: e allora rifirmerò il “Manifesto”, a qualsiasi costo. Per ora, un grazie infinito a tutti i fautori e a coloro che hanno stilato il “Manifesto”, e un’antipatia, se non ostilità, per chi nell’Europa non crede, ma anche per chi dell’Europa si approfitta.