LEGALIZZARE L'ABORTO, NELLA REPUBBLICA DI SAN MARINO IL REFERENDUM IL 26 SETTEMBRE

da | Set 24, 2021 | L'opinione

di Elisabetta Righi Iwanejko

Domenica 26 settembre i cittadini della Repubblica più antica del mondo sono chiamati a decidere se legalizzare e depenalizzare l'interruzione volontaria di gravidanza, oggi punita col carcere. Attualmente l'interruzione volontaria di gravidanza è un reato punibile fino a 6 anni di carcere dal lontano 1865, e tra pochi giorni gli elettori saranno chiamati a decidere. Una svolta storica in un periodo in cui il tema è sempre più attuale.

Il referendum è stato indetto dall’Unione Donne Sammarinesi, che al 31 maggio del 2021 hanno presentato 3.028 firme autenticate e 251 firme di residenti e sostenitori. Il quesito referendario recita: “Volete che sia consentito alla donna di interrompere volontariamente la gravidanza entro la 12a settimana di gestazione, e anche successivamente se vi sia il pericolo per la vita della donna o se vi siano anomalie e malformazioni del feto che comportino grave rischio per la salute fisica o psicologica della donna?”.
A San Marino, l’aborto è illegale senza eccezioni e punito con il carcere: l’interruzione volontaria di gravidanza non è consentita in alcun caso, nemmeno per salvare la donna in grave e immediato pericolo di vita, se la gravidanza è conseguenza di incesto o stupro o se le condizioni del feto sono incompatibili con la vita. Il codice penale di San Marino, rimasto più o meno invariato dal 1865, prevede all’articolo 153 che “la donna incinta che si procura l'aborto e chiunque vi concorra sono puniti con la prigionia di secondo grado (non meno di tre anni di carcere. Alla stessa pena soggiace la persona che procura l'aborto alla donna maggiore degli anni ventuno col libero e consapevole consenso di lei”. All’articolo 154 si disciplina il cosiddetto “aborto per motivo d’onore”, stabilendo che “la donna incinta che per motivo d'onore si provoca l'aborto o vi consente è punita con la prigionia di primo grado. Chiunque concorre nel misfatto per fine di lucro è punito con la prigionia di secondo grado. Se il compartecipe esercita una professione sanitaria si applica altresì la relativa interdizione di quarto grado”.

San Marino è uno degli ultimi stati europei a considerare l'aborto come reato e senza eccezioni, insieme a Malta, Andorra, Liechtenstein e Vaticano. Il 24 giugno 2021 si è svolto a Gibilterra un analogo referendum, che ha abolito la pena dell'ergastolo per le donne che praticano l'aborto e chi le assiste.
Ma come si è arrivati al referendum?

L’Unione Donne Sammarinesi aveva intrapreso a inizio anno un percorso per arrivare alla legalizzazione e depenalizzazione dell’aborto, deliberando il 7 gennaio in favore del referendum. A marzo del 2021 il Collegio Garante di San Marino aveva emesso la sentenza di ammissibilità del quesito referendario, e a maggio erano state consegnate le firme: “Arrivarci, per la cittadinanza ed Unione Donne Sammarinesi, non è stato facile – era stato il commento dell’UDS – Perché, si sa, le lotte per la parità di genere sono lotte lunghe, difficili, che cambiano la società, la cultura e che segnano la storia di un Paese. Ci siamo arrivate con un percorso rispettoso della legge e delle istituzioni. Non abbiamo fatto scioperi o manifestazioni. Non abbiamo bruciato reggiseni in piazza, sebbene nell’immaginario di qualcuno le femministe sono ancora così. Non abbiamo attaccato i partiti contrari o lodato quelli favorevoli alle nostre rivendicazioni. Non abbiamo offeso chi non la pensava come noi, anche se a noi non è stato riservato lo stesso trattamento. Abbiamo girato la testa dall’altra parte ad ogni provocazione”.

“Abbiamo percorso tutte le strade che l’ordinamento prevede per la democrazia diretta – ricorda l’associazione – negli ultimi 18 anni abbiamo presentato innumerevoli Istanze d’Arengo regolarmente bocciate o, peggio ancora, approvate e lasciate in un cassetto, oltre a ben due progetti di legge di iniziativa popolare, fermi da anni alla prima lettura. Abbiamo pazientato nel 2019 quando la caduta del governo ha bloccato l’iter del nostro ultimo progetto di legge. Abbiamo pazientemente messo in stand-by lo stesso progetto di legge nel 2020, con la massima responsabilità nei confronti di una pandemia che bloccava ogni iniziativa civile. Quando tutte le vie di democrazia diretta non hanno dato risultati, quando la politica, per l’ennesima volta, ha disatteso le richieste delle proprie cittadine e dei propri cittadini con scuse non più accettabili, abbiamo deciso di percorrere la strada del Referendum. Adesso saranno le cittadine ed i cittadini a decidere su un tema sensibile, un tema che tocca la libertà delle donne, o meglio, che finalmente trasforma le donne in persone”.

E bene ricordare come ho già scritto, che il referendum di San Marino ricalca quello già votato a Gibilterra, dove l’aborto era ugualmente illegale. Con una popolazione di circa 34.000 persone, equiparabile a quella sammarinese, il piccolo territorio d’oltremare del Regno Unito si è presentato alle urne per decidere se depenalizzare l’aborto, reato punibile con l’ergastolo, e con il 62% dei voti ha vinto il “sì”.

Stessa cosa era accaduta nel 2018 in Irlanda, Paese estremamente cattolico e severamente contrario all’aborto, tanto da sancirne il divieto nella Costituzione: il referendum aveva visto il 66,4% dei voti a favore della legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza. Da martedì 7 settembre, nei tribunali di tutto il Messico è diventato impossibile processare le donne che ricorrono all'aborto volontario, punito fino ad oggi con il carcere fino a tre anni in gran parte del paese. Una vittoria davvero epocale della tenace e coraggiosa lotta delle donne messicane che ora si spera possa segnare uno spartiacque e magari un effetto domino per l'affermazione della libertà e della dignità delle donne di tutta l'America Latina. La Corte Suprema di Giustizia del Messico afferma all'unanimità, per la prima volta nella storia nazionale, che è incostituzionale la penalizzazione dell'aborto volontario e che essa viola il diritto a decidere da parte delle donne e delle persone in gestazione. A partire da questa risoluzione si invalida l'articolo 196 del CP di Coahuila, che imponeva fino a tre anni di carcerazione per chi abortiva volontariamente. Il criterio si considera valido in tutto il Messico.
C'è poi chi invece sembra voler tornare indietro nel tempo, come il Texas: lo stato più conservatore degli Stati Uniti ha promulgato una legge (che ha di fatto ricevuto l’avvallo della Corte Suprema, che ha deciso di non stopparla) che vieta l'aborto e lo rende illegale superate le 6 settimane di gravidanza.

Ritengo da donna e madre che questa battaglia referendaria non riguardi solo le donne e per questo richiede l'impegno e la partecipazione degli uomini. Nel quesito referendario non si è chiamati ad esprimere un giudizio sull'IVG ma a decidere se depenalizzare o meno. In caso di vittoria del SI, l'auspicio è che i legislatori redigano una legge che tuteli la donna e la supportino in una scelta libera e consapevole. E'giunto il momento, in uno stato che si definisce democratico, di superare l'ipocrisia e l'arretratezza ancora attuali purtroppo “nell'antica terra della libertà” nei confronti di un tema così importante come l'IVG.