L’opinione: Aborto, le legge non si tocca parola di donne socialiste, di Agata Alma Cappiello, l’Avanti 1988

da | Apr 12, 2010 | Scritti d'archivio

Accogliamo con grande preoccupazione l’invito alla riflessione sul problema aborto e sul coinvolgimento del padre rivolto dalle pagine dell’ Espresso da Giuliano Amato, e l’implicito ripensa mento sulla L. 194 in esso contenuto.

A questo invito, come donne e come socialiste, potremmo rispondere con la ferma ed esclusiva difesa della L. 194, ricordando peraltro a Giuliano Amato, quando parla di «bambino», che proprio questa legge non considera tale il feto.

E analogamente potremmo utilizzare questa stessa considerazione per rispondere alll’on Ombretta Fumagalli (DC) quando sostiene che l’ordinanza della Corte Costituzionale n° 389 sarebbe contraria all’art. 30 della Costituzione che disciplina i diritti doveri dei genitori nei confronti dei figli.

Ma l’importanza che questa tematica riveste nella vita di tutti e nella coscienza dei cattolici ci porta a non percorrere soltanto questa strada.  

Pur ribadendo dunque !’imprescindibile premessa che la L. 194 non si tocca, ci addentriamo senz’altro senza paura, in una discussione più ampia, se questo può servire a spuntare armi improprie.

Ciò potrà essere molto utile, peraltro, e rinverdire le nostre posizioni politiche e a far ritrovare, a chi le avesse perdute, le nostre origini di socialisti.

A questo fine ribaltiamo a Giuliano Amato il suo invito alla riflessione, non nascondendo la necessità di esprimerci con severità sulle posizioni da lui più volte assunte su questo tema.

Ognuno, sul piano personale è infatti libero di esprimersi, tuttavia l’idea che la legge sull’aborto, voluta dalle donne e dal Parlamento, risultato dell’impegno di tanti socialisti, primo fra tutti di Loris Fortuna, sia «una legge ipocrita», appare, espressa da un socialista, uno sconcertante e grave disconosci mento della filosofia e dello spirito che da sempre hanno caratterizzato il PSI.

E’ quanto mai utile, quindi, «mettere i soldatini in fila» nel dibattito che l’ordinanza n° 389, emessa dalla Corte Costituzionale a fronte dell’eccezione di incostituzionalità sollevata dal pretore di S. Donà del Piave, ha suscitato e con l’occasione, appunto, ripercorrere alcuni momenti base del pensiero socialista su questo tema.  

Questione sociale  

L’ispirazione di fondo dell’approccio socialista alla «questione sociale» ha sempre considerato lo Stato come garante delle libertà esistenziali del cittadino, del diritto di ogni donna e di ogni uomo a lavorare, vivere, amare, a cercare il benessere e la felicità nelle forme più rispondenti alla propria sensibilità.

Tutta la storia di azione politica del Partito Socialista è attraversata dall’affermazione dei diritti civili e dalla rimozione delle barriere economiche, sociali, legislative che impediscono o limitano l’esercizio, in condizioni di pari opportunità per ogni individuo È donna o uomo che sia – del soddisfacimento dei propri bisogni e dell’autorealizzazione nel sociale e nel privato.

In questo contesto lo Stato deve essere rispettoso della sfera privata dei cittadini e le sue risposte in termini di intervento legislativo e culturale devono porsi in un ‘ottica di sostanziale neutralità rispetto alle varie scelte esistenziali che ciascun individuo, nel corso della sua vita, può fare sulle forme aggregative da dare alla propria espressione di affettività e di socialità: singolarmente, in coppia, dentro o fuori del matrimonio.

E’ da questa matrice, che sono nate le nostre battaglie per il divorzio e per la 194.  

Giova sottolineare che l’impegno per la legge 194 non è mai stato per l’affermazione dell’aborto, ma contro la sua clandestinità e contro le condizioni generali che costringevano e ancora costringono a questa pratica le donne, cui la società non sa dare strumenti conoscitivi e servizi per esercitare una libera e consapevole scelta di maternità ad oltre dieci anni dalla 194.

La legalizzazione dell’aborto ha rappresentato per le donne una conquista, ma queste sono sempre state consapevoli, proprio in quanto lo sperimentavano su se stesse, che l’aborto rappresenta comunque una esperienza traumatica. In particolare, per quanto riguarda la questione oggetto dell’ordinanza 389 della Corte Costituzionale che tanto ha fatto discutere, e che cioè solo alle  donne può e deve spettare la decisione finale di interrompere o meno la gravidanza, va precisato che l’art. 5 della L. 194 che riconosce tale diritto alle donne, non preclude affatto il coinvolgimento dell’uomo

se la donna lo consente.  

Rapporto di coppia  

E’ evidente che laddove sussista un rapporto di coppia basato sul reciproco affetto e la reciproca fiducia, il problema dell’aborto verrà naturalmente e spontaneamente discusso e affrontato da entrambi.

Ma laddove il rapporto di coppia con questi requisiti non esista, o se vi è contrasto tra la donna e l’uomo sulla decisione da prendere in merito alla gravidanza, è giusto che questa decisione spetti alla sola donna.

In questo caso, infatti, significa che manca quella base di dialogo, di intimità e di fiducia che trasforma due individui in una coppia parentale. Una gestazione imposta dal di fuori rischia di turbare il rapporto madre-feto e di far percepire quest’ultimo come una presenza invasiva. Anche se le donne per secoli hanno accettato la gravidanza con passiva rassegnazione.

La separazione tra sessualità e fecondità sottolineata dalla legge 194/78 ha reso evidente la diversa valenza di apporto tra i due sessi nel processo di procreazione, facendo prevalere l’apporto materno.

Vi è in realtà nella riproduzione un potere femminile che  non si è mai trasformato in potere sociale e nei confronti del quale oggi si insorge.  

Presenza dell’uomo  

Tuttavia va sottolineato che la presenza e partecipazione dell’uomo, più o meno consapevole e responsabile, nel momento del concepimento ha ben altro valore del ruolo della donna, che porta in grembo un figlio, che deve gestire per nove mesi una gravidanza, che deve partorire, che si fa carico di ogni bisogno del neonato e così via.  

Nessuno può contestare questa diversità. Nessuno può negare il legame vitale e affettivo tra madre e figlio nel momento della gravidanza. 
Come si può quindi pensare di poter imporre ad una donna di portare a termine la gravidanza se questa non vuole? 
E’ questo un pensiero aberrante che in primo luogo fa della donna uno strumento di procreazione negandole valore di persona umana; in secondo luogo costituisce un’intollerabile limitazione al volere e alle libertà di una persona sancite dalla nostra costituzione. 
E’ qui che allora deve affermarsi la pari responsabilità dei genitori verso i figli, sancita dalla Costituzione e dalla riforma del diritto di famiglia nel 1975. 
Ben venga finalmente la rivendicazione dell’uomo ad una paternità cosciente e responsabile, che deve però trovare attuazione nella quotidianità della vita familiare e non solo, come spesso avviene, nelle controversie giudiziarie per evitare di riconoscere un contributo economico alla moglie separata o divorziata. 
Ma come dicevamo le donne non hanno mai sbandierato felici la bandiera dell’aborto, bensì hanno affermato e affermano ancora oggi di volere una maternità consapevole, per essere felici di essere madri, per poter offrire ai loro figli un futuro con prospettive reali di vita. 

Non crediamo quindi che le accuse rivolte alla L. 194/78 di ledere i principi costituzionali abbiano il ben che minimo fondamento. 
Il problema reale è che in questi anni non si sono volute rimuovere le cause che inducono la donna ad interrompere la gravidanza e non si è voluto riconoscere la funzione sociale della maternità. 
Noi socialisti, contrariamente ad altri, non consideriamo la posizione di coloro che astrattamente e moralisticamente proclamano un generico «diritto alla vita», ma piuttosto lavoriamo per la valorizzazione del contenuto della scelta di maternità e per costruire le condizioni nel contesto sociale affinché tale scelta possa essere effettivamente effettuata. 
A tale obiettivo vanno riferite tre proposte di legge, in caso di presentazione, riguardanti rispettivamente i congedi parentali, gli asili nido, l’innalzamento dell’età per accedere ai pubblici concorsi. 
La prima proposta tende ad ampliare il periodo relativo ai congedi parentali, estendendoli fino al secondo anno di vita, del bambino e a modificarne, in ossequio alla sentenza della

Corte Costituzionale n. 1/1987 i termini di utilizzazione attribuendo al padre l’esercizio di tale diritto. 
Tali modifiche hanno come evidente finalità la maggiore presenza di entrambi i genitori accanto al bambino, e un più sensibile coinvolgi mento del padre attraverso il graduale superamento della divisione dei ruoli.  

Diversi bisogni  

La seconda proposta rivisita la legge 1044 sugli asili nido, liberandola da ogni residua impostazione custodialistica e prevedendo strutture con tempi di fruizione più ampi e in funzione dei diversi bisogni, aperte ai figli delle donne lavoratrici e non, oltre a soluzioni integrative più idonee alla realtà dei singoli quartieri, come per esempio i nidi all’interno dei caseggiati. Ciò in considerazione del fatto che certamente pesa, sulle decisioni di rinunciare alla maternità, l’oggettiva mancanza di strutture sociali per l’infanzia.  

La terza proposta eleva l’età di ammissione ai pubblici concorsi a 40 anni, e prevede che la condizione di nubili o celibi, vedovi, separati, divorziati, con figli a carico siano titoli preferenziali, a parità di merito, in tutti i concorsi pubblici.

Facilitazioni nell’accesso al lavoro non potranno infatti che creare condizioni più idonee per la scelta di maternità.

Questo è quanto realisticamente può essere fatto, oltre alla riqualificazione dei consultori e alla creazione di queste strutture su tutto il territorio per ridurre il ricorso all’interruzione di gravidanza. E’ bene sottolineare un dato del quale poco si parla o non si vuole parlare, e cioè che, come emerso dalla relazione del ministro Donat Cattin al parlamento sullo stato di attuazione della L. 194/78 per l’anno ’86, «la tendenza alla diminuzione in atto dal 1983 ha avuto un’accelerazione negli ultimi 3 anni e testimonia l’esistenza di un processo reale e non di fluttuazioni statistiche»; non solo, ma che la maggior parte degli aborti vengono effettuati su donne coniugate di età compresa fra i 30 e i 40 anni, che hanno già altre volte fatto ricorso a questa pratica. Ecco che quindi il problema è quello di mancanza di cultura, di una educazione sessuale e informazione nel campo della contraccezione interventi tutti di cui lo Stato continua a non volersi far carico.

La terza proposta eleva l’età di ammissione ai pubblici concorsi a 40 anni, e prevede che la condizione di nubili o celibi, vedovi, separati, divorziati, con figli a carico siano titoli preferenziali, a parità di merito, in tutti i concorsi pubblici.

Facilitazioni nell’accesso al lavoro non potranno infatti che creare condizioni più idonee per la scelta di maternità.

Con queste nostre riflessioni e proposte concrete intendiamo contribuire al dibattito che è nato nel paese poiché è solo attraverso un vero confronto di idee che faccia uscire i temi del «diritto alla vita» da un atteggiamento repressivo che si afferma concretamente la vita come diritto alla pari dignità, al benessere, al lavoro, allo stato sociale. Un diritto alla vita che non tenti ancora di schiacciare le donne sotto il so del mondo ma che sia, compiutamente e finalmente, diritto per tutti alla speranza e alla felicità. 

Commento di Marta Ajò

Agata Alma Cappiello, avvocato, dirigente nazionale del PSI, purtroppo scomparsa recentemente, descrive, con la passione che ha sempre distinto le sue azioni,  la posizione delle donne socialiste in materia di aborto. E’ interessante rileggere questo articolo in cui si affronta il tema in una visione complessiva. Il diritto di famiglia, il lavoro condiviso,  il mercato del lavoro, i servizi, i permessi di paternità, il rispetto individuale e di coppia, il diritto alla felicità ecc. sono tutti temi infatti che ripropongono la condizione femminile con le difficoltà che ha sempre incontrato e che, purtroppo, continua a soffrire.