Manifestare perché è necessario o manifestare quando è opportuno?

da | Gen 15, 2012 | Editoriali

Sono passati tre giorni dalla manifestazione che “Se non ora quando” ha tenuto  a Roma e in molte altre grandi piazze italiane.
Solo tre giorni, eppure sembra passato un lungo tempo, sembra già caduta nell’oblio.
Prima che si arrivasse alla data dell’11 dicembre, tutti ne parlavano:  giornali, interviste, spot, video sul web, siti, insomma c’era l’attesa per un grande evento che doveva ripetere o superare il successo,  impresso nella memoria di tutti, della mobilitazione delle donne di “Se non ora quando” il 13 febbraio scorso, che sembrava avesse impresso una nuova svolta per le politiche di genere. Invece , l’11 dicembre, la decisamente calata presenza di donne, (anche se Piazza del Popolo a Roma era quasi piena), ha deluso un po’ tutti. I fotografi, che erano arrivati armati di teleobiettivi da festival del cinema, i giornalisti che non hanno trovato granché di nuovo da rilevare, le giovani che erano poche e si cercavano per fare gruppo, per cantare insieme, loro con Emma, il loro idolo. Le anziane e gli uomini presenti, un po’ pesci fuor d’acqua. Tranne quelle (arcinote) che si sono sempre occupate della questione femminile, in politica e nella cultura, che hanno fatto la loro breve visita, tanto per dire che c’erano e quelle del comitato di “Se non ora quando”, che quando ha cominciato a piovere erano sbiancate in volto.

Tutte queste e tutte insieme, si sono  riprese quando la manifestazione prendeva corpo, prendeva le parole, la rabbia e il cuore. Perché in fondo è stata una bella manifestazione anche se, per le più grandi, sentire ancora sciorinare le richieste di un migliore welfare per lavorare e mantenere gli impegni familiari, la realizzazione del sé e la maternità come trenta e più anni fà, fa male, molto male. Sta a significare che qualcosa delle lotte fatte e delle rivendicazioni enunciate nel tempo non ha funzionato. Perché al di là della notizia che è stata un po’ vissuta in modo folkloristico, come ai tempi di “tremate, le streghe son tornate”, le luci si sono spente troppo presto sul significato e sulle voci di questa uscita pubblica e collettiva delle donne.

Diverse le risposte che possiamo darci.
Innanzi tutto la mancanza dei partiti e dei sindacati che rendono subito più sostenibili (o insostenibili…) le proposte fatte; la mancanza di un governo ostile, anzi scandalosamente favorevole alle donne purché oggetti, come quello passato; la mancanza di elezioni vicine su cui non poter far pressione né far troppo contare la protesta trasformata in voto, né contrattare la propria voglia di rappresentanza.

Forse le donne vogliono troppo?
“Vogliamo più tempo nel corso della vita, non solo quando siamo vecchie. Tempo per lavorare, per fare famiglia, per formarci, per impegnarci nella società… Vogliamo più servizi accessibili e di buona qualità per i bambini e per le persone non autosufficienti. Alzare l’età alla pensione delle donne senza riequilibrare le responsabilità nel lavoro di cura, è miope e ingiusto. Lascia tutte le responsabilità e i costi sulle spalle delle donne, delle più vecchie e delle più giovani”, sostiene Chiara Saraceno.

 “Vogliamo segnare una nuova stagione politica. Con questa manifestazione ci mettiamo simbolicamente al governo del Paese per appianare le disparità di trattamento tra uomini e donne, uguali solo nei sacrifici. Le donne sono il Welfare del Paese”, dichiara Cristina Comencini, impegnata nella battaglia dallo scorso febbraio e ancora Francesca Izzo, del comitato SNOQ  aggiunge di non sentirsi soddisfatta di ciò che ha fatto il governo Monti, ” Ma non staremo con le mani in mano. Non a caso abbiamo chiesto, come hanno iniziato a richiedere prima di noi altre associazioni, la democrazia paritaria del 50/50 ovunque, assemblee degli eletti, governo e ci batteremo per questo (come dichiarato nella nostra lettere di avviso ai partiti); no, non è ancora il momento della soddisfazione. Anche se da questo governo sono venuti segnali interessanti e anche alcuni gesti simbolici sono stati fatti. Dalle consultazioni con le rappresentanze istituzionali delle donne e un riferimento al nesso tra crescita economica e la presenza nel lavoro delle donne, la Fornero che si è alzata perché nella delegazione dei giovani mancava la rappresentanza femminile…gesti simbolici, ma ora vogliamo i fatti”.

E mentre le voci sul palco si accanivano a spiegare i perché delle loro richieste, ad urlare i loro bisogni, il governo in carica si preparava in modo rigido a varare la riforma che come osserva giustamente Franca Fossati nel suo articolo, pubblicato su Europa dice: “Titolo: la prima manifestazione politica sotto il governo Monti chiede un paese a misura di donna. E cioè? La lista è lunga, ma senza un vero centro di gravità. Un nuovo welfare certo, ma che pensano le donne del fatto che per femminilizzare lo stato sociale bisogna smantellare (in parte, almeno) quello che era stato costruito a misura di maschio capofamiglia con contratto a tempo indeterminato? Ci vuole un pink new deal, come dicono le economiste di ingenere.it, che introduca crediti d’imposta, investa nelle infrastrutture sociali, istituisca un assegno di maternità universale e renda obbligatorio il congedo di paternità. Ma intanto il governo allunga l’età pensionabile senza dare niente in cambio e in tutta Europa il lavoro femminile, in molti paesi concentrato nel pubblico impiego, viene drasticamente ridimensionato”.

Dunque non era il momento?
È sempre il momento,  grida a tutta voce dal palco, a conclusione della manifestazione, Lunetta Savino: “Quando arriverà il momento non faremo sconti a nessuno! Non diremo ‘questo non è il momento’! Basta solo con le buone intenzioni, rivediamo i rimborsi elettorali per il sostegno delle candidature che hanno sempre penalizzato le donne. Noi daremo il voto solo su programmi concreti e a metà governo di donne. La nostra forza è anche la vostra forza”.
Ma “È difficile osare quando non sai se il paese e l’Europa tutta ce la faranno a superare la crisi” sostiene  Mariella Gramaglia, una storica del movimento.
Ancora una volta dunque alle donne si chiede pazienza, responsabilità, forse un passo indietro e la richiesta, che sembra non procrastinabile, che  la politica parli il linguaggio delle donne, appare invece ancora da venire.

Dols, 14 dicembre 2012