“Di cibo e di amore”, di Marta Ajò, Graphofeel ed.
La prova più difficile per una madre assistere impotente al declino della salute fisica e psichica di una figlia, senza potersi aggrappare ad altro, per salvarla, che alla sua intelligenza, razionalità, istinto, amore, perché non può contare all’inizio su niente o nessuno, compagno, famiglia, psicoterapeuta… poi verranno gli interventi giusti, i medici competenti, i ricoveri salvifici: ma all’inizio è solo buio e la consapevolezza di poter disporre soltanto delle proprie forze. Mentre, come un chiodo fisso, la domanda delle domande la tormenta: perché? Perché proprio a lei e a me? Che ho sbagliato? E, anche se sente, in buona fede, di aver provato a conciliare, con fatica indicibile, lavoro e presenza, viaggi e accudimento, il grillo parlante della coscienza continua a interrogarla su fatti e episodi in cui forse avrebbe potuto comportarsi diversamente…
“Cibo e amore” è un lavoro difficilmente etichettabile: né romanzo, né saggio, oppure entrambi, ma è soprattutto testimonianza, documento, tranche di vie, raccontata a ciglio asciutto, senza cadere, com’era facile, nella retorica o nell’enfasi. La sua cifra costante è la misura e la pacatezza: questa madre lascia parlare i fatti, senza indulgere in descrizioni pietistiche – soltanto un numero ci viene detto: che la bella figlia di vent’anni, quasi un metro e settanta d’altezza, è ridotta a trentadue chili-.
E non parla soltanto di sé, del dramma dell’anoressia e dei disperati tentativi per uscirne: allarga lo sguardo pure ad altre madri, ad altri figli sofferenti di mali di vivere diversi ma altrettanto tragici. In un’altalena di successi e regressioni punteggiati da episodi di varia umanità vissuti nei reparti, perché anche il gran buio del dolore può essere rischiarato dal sorriso come, viceversa, nella gioia possono scorrere lacrime.
”Di cibo e d’amore” diventa così cibo d’amore, perché è questo, l’AMORE, il cibo che la madre offre alla figlia: refrattaria al nutrimento fisico, la ragazza vi approderà di nuovo, finalmente, attraverso l’affetto materno, che diventa strumento di salvezza per entrambe, alimento dell’anima che diventa indispensabile ristoro per il corpo.
Il libro si legge tutto in un fiato, tale è la fascinazione della scrittura e dell’argomento. Complimenti dunque a Marta Ajò, che si conferma scrittrice intensa e raffinata anche nell’affrontare una tematica tanto difficile e purtroppo ancora attuale.