L’Italia è il Paese con il maggior divario di genere nelle competenze in matematica tra i 15enni a svantaggio delle ragazze, ma la maggioranza degli insegnanti di matematica è donna. Perché?
Il gap di genere in matematica è di 21 punti percentuali e le donne hanno peggiorato le loro competenze di 18 punti rispetto al 2018. Non si tratta di una predisposizione dei maschi verso la matematica maggiore delle femmine. Ci sono 14 paesi dove sono le ragazze a raggiungere punteggi più alti in matematica e ce ne sono altri dove le competenze sono simili.
Un gap così elevato si affianca ad uno altrettanto elevato nella lettura, ma capovolto. I maschi ottengono un punteggio di 19 punti più basso delle femmine.
Sembrerebbe che la nostra scuola indirizzi i bambini verso le materie scientifiche e le bambine verso quelle letterarie, più di quanto non succeda in altri Paesi.
Gli studi condotti nell’ambito della pedagogia di genere hanno evidenziato quanto ancora stereotipi molto pesanti siano presenti in libri di testo delle primarie, quanto a vocaboli utilizzati, immagini presentate dei mestieri al femminile e al maschile.
Man mano che i bimbi crescono, le scelte dei percorsi formativi si divaricano tra maschi e femmine. E non a caso, perché nei ragazzi si matura l’idea di essere “portati” per le materie scientifiche, mentre nelle ragazze si matura l’idea di essere “portate” in quelle umanistiche, e in tutto ciò che ha a che fare con la cura. La scuola accentua condizionamenti attivi già in ambito familiare. Non sempre ciò avviene in modo consapevole, ma avviene.
Il problema è che tutto ciò ha delle conseguenze precise. E cioè, le ragazze hanno meno fiducia nelle loro competenze matematiche. E questo ne influenza i risultati che nelle materie scientifiche sono sistematicamente più bassi che in quelle letterarie. Inoltre, anche a parità di alte competenze in matematica le ragazze tendono a vedersi di meno nella professione di matematico, scienziato o ingegnere.
Ciò non succede solo in Italia. Ma in Italia la situazione è più grave. I percorsi formativi, frutto dell’educazione di genere ricevuta, diventano così “segnati”, quasi “obbligati” e influiscono inevitabilmente anche sull’inserimento nel mercato del lavoro, configurando per le donne l’ingresso in settori più deboli, meno retribuiti, meno considerati a livello di prestigio sociale, e andando a rafforzare la segregazione orizzontale nel mercato del lavoro.
Ed ecco perché le donne sono la maggioranza degli insegnanti di matematica, (80% nelle scuole medie di primo grado, 64,6% nelle scuole medie di secondo grado). E lo sono, anche se hanno minori competenze degli uomini.
Perché entrano in gioco, anche in questo caso, gli stereotipi di genere, che associano l’insegnamento alle donne. Insegnamento, che è poco attrattivo per gli uomini, anche per il basso salario. Ma che è più attrattivo per le donne, per l’orario di lavoro che offre, più sostenibile, specie se si hanno figli, in una situazione come quella italiana, con alta asimmetria dei ruoli nella coppia, e scarsa presenza di servizi educativi per la prima infanzia e per l’assistenza ad anziani e disabili, che comportano un alto sovraccarico di lavoro famigliare sulle spalle delle donne.
Verrebbe da chiedersi quanto ci costano questi stereotipi duri a morire in un mondo in cui la tecnologia e la ricerca scientifica determinano il grado di benessere e sviluppo dei paesi. E che prezzo ancora dovranno pagare le donne per l’assenza di una strategia adeguata per combatterli?
La Repubblica
8 dicembre 2023