di Marta Ajò
Non è un problema primario, ce ne rendiamo conto, ma un pensiero che ha attraversato la mente di moltissime donne, una riflessione scambiata fra amiche agli albori della quarantena pandemica è “come faccio a tingermi i capelli?”.
Già, perché oltre le molte fortunate che godono di una splendida, naturale e invidiabile capigliatura, ce ne sono tante altre, molte di più, che ricorrono al parrucchiere per migliorare la chioma.
In questa timida ripresa della fase 2, in cui la data di apertura si avvicina, sembrerebbe superfluo trattare l’argomento proprio ora. Senonché in questo periodo abbiamo imparato a meglio e diversamente rapportarci con i nostri capelli.
Fin da piccole siamo state abituate all’esclamazione “che bei capelli biondi”! Quelli della nostra amica, della figlia della conoscente di nostra madre, delle attrici americane che rappresentavano il massimo dello stereotipo femminile, valore aggiunto per donne mediterranee che lo hanno imitato grazie alla tinta.
Poco importa se gli uomini pronunciano ancora il vecchio detto “amano le bionde ma sposano le brune” di vecchia memoria hollyvodiana, perché si sa che essi poco si sono saputi rinnovare sul fronte del maschilismo becero. Alla nostra italica razza il colore che più si addice vira nelle varie sfumature tra il nero e il castano.
Sarebbe ovvio pensare che l’importante è quello che c’è dentro e non sopra la testa. Ma i criteri di selezione, per la donna, non sono mai stati dettati da ciò che essa contiene piuttosto per la/le sue forme esteriori.
“Una bella mora” non può competere con “una bionda sciapa”.
Lo si è capito fin da piccole, dal suono delle parole con cui si esprime l’immaginario maschile di massa, con le immagini esaltate dalla pubblicità.
Forse anche solo perché l’erba del vicino è sempre più verde, fatto sta che le donne mediterranee hanno sempre aspirato ad imitare le nordiche.
Comunque, anche quelle che non hanno ceduto alle mode né ai consigli, hanno bisogno del parrucchiere, perché dia loro “un’aggiustatina”, settimanale o mensile, è soggettivo.
In attesa, mortificate dagli elastici impietosi della mascherine di protezione, ci si è adeguate-arrangiate, come siano state abituate per tutte le cose, anche quelle molto più importanti e difficili, al fare da sé, da sole, in emergenza.
I risultati estetici non sono stati granché ma compensati dalla nuova “filosofia” che ne è conseguita: “se smettessi di tingermi?”.
Perché tutto sommato i trattamenti sono costosi, fanno perdere tempo, non sempre soddisfano i propri desideri. Allora perché non assecondare madre natura.
Per ora, le capigliature delle donne si presentano generalmente di più colori: quello della ricrescita e quello, per quanto scolorito e deviato, dell’ultima tintura sulle punte. Virando inevitabilmente dal nero al grigio, dal grigio al biondo, alle mèches gialle e spente. Ma il colore grigio-bianco sarà poi così poco donante? Sembreremo più vecchie? Più tristi?
Potremmo osare, virare verso il biondo platino, mesciare lo scuro, trovare una soluzione mediana o accompagnare la natura a compiere il suo dovere.
In tante ci stanno pensando, “gira voce”.
In fondo perché non interrompere anche questo preconcetto per cui la donna deve sempre essere attraente solo rispondendo ai desiderata maschili o aggiungendo valori di bellezza influenzati da stereotipi indotti da mode e mercati che nel tempo si ripetono all’infinito?
Belletti, monili, vestiti, tinture ecc., che hanno caratterizzato canoni di fascino e bellezza, non sempre si addicono alla vita reale delle donne e ci sono momenti in cui esse hanno imparato a considerare tutto ciò come l’ultimo dei problemi rispetto alle tante, importanti questioni che affrontano nel quotidiano come nelle emergenze.