“L’#Avvento è un tempo di grazia per liberarci dalla presunzione di crederci autosufficienti, per andare a confessare i nostri peccati e accogliere il perdono di Dio, per chiedere scusa a chi abbiamo offeso” (Papa Francesco).
Ma non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire e il Mondo, o meglio coloro che ne determinano il destino, va avanti in controtendenza a queste parole.
L’esempio più evidente? Le guerre, messe in atto da egoismi e protagonismi di governi e poteri economici, che rappresentano la negazione del benessere e dello sviluppo umano allargando i confini dell’emergenza umanitaria in modo sempre più evidente.
56 sono i conflitti armati riconosciuti nel mondo che mettono a rischio gli equilibri internazionali e la pace fra i popoli.
Non solo Israele, Palestina, Libano, Siria, Ucraina. Ma anche scontri di fazioni rivali come in Sudan, di crisi territoriali non trascurabili per la portata delle conseguenze sulle popolazioni civili. Situazioni solo apparentemente lontane ma che fanno temere il peggio anche per chi non ne è coinvolto temporalmente e direttamente. Non è il numero dei morti che ne indica la gravità o il criterio di riferimento. In un mondo che tende ed invoca la globalizzazione, che sviluppa altresì un incremento del fenomeno migratorio, è impossibile non considerarsi come un insieme.
Le situazioni di crisi più evidenti, per approssimazione:
Ucraina: dall’invasione russa del 2022 si parla approssimativamente e per difetto di un milione di vittime su entrambi i fronti, tra morti e feriti.
Israele: strage di Hamas del 7 ottobre 2023 con la morte di più di 1.200 israeliani
Gaza: la catastrofe umanitaria con oltre 45mila palestinesi, molti dei quali bambini, uccisi nei raid israeliani Libano: più di 4mila morti e 16mila feriti in due mesi per il conflitto tra Israele e Hezbollah, esploso in seguito a quello a Gaza.
Siria: una situazione attualmente incerta per il defenestramento del regime di Assad ma che conta centinaia di morti e oltre 115mila sfollati per l’escalation di una guerra civile che perdura dal 2011.
Africa: un continente le cui popolazioni sono stremate da violenze e fame. Conflitti ignorati o dimenticati.
Sudan: 7.500 vittime per la guerra civile derivata da continui colpi di stato e di cui si calcola almeno quasi 7 milioni di sfollati in meno di due anni.
Sudamerica e Centroamerica: paesi in cui s’incrociano ripetuti conflitti interni per lo più legati alla criminalità organizzata.
Si segnalano poi crisi politiche e sociali anche all’interno di Paesi considerati forti e non in situazioni di belligeranza, come in Europa. Ma è tutta un’altra faccenda.
Dunque come non cogliere in tutto questo contesto il monito del Papa di non crederci autosufficienti?
Chi, di coloro che hanno provocato e mantengono queste situazioni di abominio confesserà il proprio peccato o avrà mai il coraggio di chiedere perdono?
Ci saranno mai le scuse, drammaticamente tardive, ai perseguitati, ai morti, ai bambini privati di futuro, alle famiglie spezzate, alle solitudini delle sofferenze per le offese che sono state loro procurate?
La pace è un’altra cosa. Non è solo quella che si ottiene fermando gli spari e le morti. La pace a cui il Papa richiama, è quella dello spirito, ben più difficile da raggiungere, in guerra come in pace.
Ma sentendoci noi liberi, felici dei nostri affetti, grati per le cure, speranzosi per un futuro confuso ma certo, partecipiamo a questo Natale 2024 con la speranza, con la storia e le tradizioni che ci rimanda.