Dov’è la vittoria? – Nicla Vassallo: “Università in ginocchio per populismo”
Il suo pensiero e le sue ricerche scientifiche hanno innovato e rinnovato settori dell’epistemologia, della filosofia della conoscenza, della metafisica, dei gender studies.
Intervista di Paolo Barbieri per il FattoQuotidiano.it
Nicla Vassallo, filosofa di fama internazionale, specializzatasi al King’s College London, è attualmente professore ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università di Genova. Il suo pensiero e le sue ricerche scientifiche hanno innovato e rinnovato settori dell’epistemologia, della filosofia della conoscenza, della metafisica, dei gender studies. Autrice, coautrice, curatrice di oltre cento pubblicazioni tra cui: Filosofia delle donne, Teoria della conoscenza, Knowledge, Language, and Interpretation, Donna m’apparve, Piccolo trattato di epistemologia, Terza cultura, Per sentito dire, Conversazioni, Reason and Rationality. Recentemente ha pubblicato anche un libro di poesie, Orlando in ordine sparso, in cui a primeggiare sono le tematiche dell’amore, dell’identità personale, del dolore e della bellezza, del significato della vita.
Tagli alla scuola pubblica e sempre meno investimenti per l’università e per la ricerca. Lei ha avuto esperienze di studio importanti anche all’estero, come giudica la scuola e l’università italiane?
In Italia, non si è riusciti a creare un’università né di massa, né di élite, mentre cultura e conoscenza, portatrici di verità, sono andate scemando. Sull’onda di un populismo imperante, ben radicato in gran parte dei costumi politici vigenti, oltre che in diversi social network e diverse tv, si è talmente disprezzata, trascurata, umiliata la vera e propria figura dell’intellettuale di professione, da lasciarla crollare, a favore di figure meno colte, meno specialistiche, più visibili, figure aggressive che sprizzano tuttologia da ogni poro. Dopo anni di nepotismo, oltre che di populismo, dopo anni di tagli selvaggi dei finanziamenti, l’università pubblica si ritrova oggi in ginocchio, a tutto vantaggio dell’università privata. La scelleratezza della politica ha fatto la sua buona parte, ma anche l’università stessa ha giocato un ruolo decisivo, selezionando il proprio corpo docente non sempre in base al merito. Da noi non si è capito che cultura e conoscenza sono portatrici di benessere. Da altre parti, sì. Un caso tra tutti, quello dell’Olanda: l’NWO (ente predisposto a finanziare la ricerca accademica) stanzia ogni anno una somma sessantacinque volte superiore a quello stanziata dall’Italia, in relazione ai rispettivi abitanti.
Un ministro tempo fa ha affermato che con la cultura non si mangia. Lei pensa che un’affermazione come questa sia frutto dell’ignoranza di una singola persona oppure dietro questa frase scorge qualche cosa di più profondo e quindi più inquietante che sta alla base della crisi morale e sociale del nostro Paese?
E con la cultura non si deve mangiare: meglio che gli intellettuali trovino da soli, o nel privato, di che sostentarsi degnamente. In quest’ottica si annida una crassa ignoranza. Ignoranza assai diffusa, che fa a pugni sia con l’affermazione aristotelica, stando a cui ogni essere umano è tale solo se aspira alla conoscenza, sia con gli equivalenti versi danteschi, stando a cui ogni essere umano è stato creato “per seguir virtute e canoscenza”. Se non desideriamo per noi conoscenza e non ci comportiamo in modo tale da ottenerla, perdiamo la nostra umanità per trasformarci in bruti. La brutalità si rivela però indegna di una democrazia. Difatti, in quale democrazia viviamo noi italiani? Ovvero, quanta democrazia contiene un sistema che nei fatti non garantisce il diritto all’equità ed eguaglianza? Ben poca, e ciò non va attribuito – troppo facile – alla crisi che stiamo attraversando. Semmai, è il contrario.
Lei ha studiato a fondo il pensiero femminista. Quale attualità ha il femminismo in un paese come l’Italia?
Per la precisione, ho approfondito le filosofie femministe, non il pensiero legato alle politiche e pratiche femministe. Filosofie femministe volutamente al plurale, poiché non esiste un’unica filosofia femminista, e, meno che mai, esiste la solita e ritrita filosofia della differenza sessuale che impera da decenni qui da noi e la cui principale, erronea tesi è riassumibile come segue: ci sono i maschi/uomini differenti per essenza dalle femmine/donne, e gli uni e le altre si trovano su fronti cognitivamente opposti. L’imperare di questa differenza spiega il pessimo risultato, sul piano dell’equità e dell’eguaglianza, tra i due sessi (o generi), strappato dall’Italia al Global Gender Gap 2012 del World Economic Forum, ove ci viene assegnato l’ottantesimo posto, preceduti, solo per menzionare alcuni paesi, da Cipro, Perù, Botswana, Brunei, Honduras, Repubblica Ceca, Kenya, Repubblica Slovacca e Cina (sessantanovesima). Il gap in questione certifica un fatto: non ci troviamo in un paese sviluppato, né democratico. Per rimediare al divario che corre tra uomini e donne italiane, dobbiamo fare nostre quelle tesi delle filosofie femministe, che sostengono la necessità di equità ed eguaglianza tra uomini e donne, tesi di un’attualità sconcertante.
Cosa pensa dei fenomeni come il femminicidio e l’omofobia?
Femminicidio e omofobia vengono fomentati dalla mancanza del diritto all’eguaglianza e all’equità tra sessi (o generi), tra coppie eterosessuali e coppie omosessuali, tra persone eterosessuali e persone omosessuali. Entrambi si ergono su una violenza agghiacciante e ne generano altrettanta. Entro un ordine simbolico che garantisce supremazia ai maschi/uomini etero. Se non viviamo in uno Stato propriamente femminicidia (le leggi contro l’omicidio non mancano), viviamo, a tutti gli effetti, in un Stato omofobo (le leggi a favore delle coppie gay mancano). Credo che femminicido e omofobia siano connessi alla vigente postulazione di una netta differenza sessuale tra maschi/uomini e femmine/donne, postulazione priva di sufficienti evidenze scientifiche, postulazione ricolma di pregiudizi, tra cui quello per cui i maschi/uomini sarebbero “per natura” attivi, mentre le femmine/donne passive.
Lei è favorevole al matrimonio tra gay e alla loro possibilità di adottare bambini?
Sì, certo. È che non riesco a comprendere perché questo nostro paese mi garantisce la possibilità, da femmina/donna etero, di sposarmi un pluriomicida, purché maschio/uomo, mentre mi nega la possibilità, da femmina/donna omo, di sposarmi una femmina/donna onesta ed equilibrata, una persona che amo con profondità e stabilità. Vi sono parecchie buone argomentazioni a favore del matrimonio same–sex (più propriamente “matrimonio egualitario”) così come buone argomentazioni a favore del diritto di una coppia gay all’adozione. Le argomentazioni contro, invece, fanno acqua. Non ha alcun senso, per esempio, sostenere che il matrimonio same–sex è contro natura (cosa mai ci sarebbe di naturale in un qualsiasi matrimonio?), è contro la tradizione (come se la tradizione fosse sempre da preservare in quanto “buona”: e lo schiavismo?), mina la complementarietà (una cosa è la banale complementarietà esteriore e fisica, tutt’altra cosa è quella intensa e psicologica), non suggella un vero e proprio amore (gli amori etero sarebbero di serie A e quelli omo di serie B?). Né ha alcun senso sostenere che l’adozione preclude al bambino di conoscere un padre e una madre (tutte le madri sono davvero materne e tutti i padri davvero paterni?), di sviluppare, se maschio, un’identità maschile, se femmina, un’identità femminile (non sarebbe preferibile smettere di parlare di identità che rispecchiano l’appartenenza sessuale, per parlare piuttosto di persone e di identità personali?), di sperimentare le relazioni tra uomini e donne (perché allora non dire: “Il matrimonio etero preclude al bambino di sperimentare le relazioni tra uomini e uomini, e tra donne e donne.”?). Chi sostiene tesi contro le famiglie same–sex, bloccando loro la possibilità di assurgere a famiglie vere e proprie, facendo sue le tesi contro il matrimonio e le adozioni da parte di coppie same–sex, abbraccia in realtà tesi insensate.
Per quanto riguarda i diritti civili siamo un paese arretrato. Pensa che il Vaticano abbia responsabilità per questa arretratezza?
Senz’altro arretrato. Non si tratta solo di diritti civili, ma innanzitutto di diritti umani. Non si viene considerati esseri umani a pieno titolo quando, se donna, si subisce, una su tre, violenze maschili, mentre, se omosessuale, si è indegni di convalidare il proprio amore nell’unione matrimoniale e nell’adozione. Ci troviamo al cospetto di un tipo di arretratezza che consiste in un effettivo analfabetismo umano e civile, ove a prevalere è l’irrazionalità sulla razionalità. Addossando le colpe di questa arretratezza al Vaticano, si rifugge dalle proprie responsabilità e si deresponsabilizza una politica incapace di far fronte all’arretratezza, politica, anzi, foriera di arretratezza.
C’è tra la gente sempre meno fiducia nella politica. La preoccupa questo sentimento che spesso assume toni populistici?
Non si nutre fiducia nella politica, perché questa politica, perlomeno nell’ultimo ventennio, se non trentennio, ha dato il peggio di sé, allontanandosi vieppiù dall’arte di governare bene. Una politica populista in sé, che ha tolto i freni inibitori a quel populismo che alberga in chi ha votato per anni il candidato sbagliato, in chi non ha una sufficiente cultura per votare, in chi si è rifugiato nel qualunquismo. La sfiducia nelle istituzioni e nei partiti prevale in molti cittadini, a tal punto che la politica viene ritenuta estranea, se non di ostacolo rispetto alla soddisfacimento egoistico dei propri bisogni. E, accecati dall’egoismo, si perde il senso della polis e del proprio ruolo di cittadini. Alcuni politici ne hanno approfittato e ne approfittano, assumendo deprecabili istanze demagogiche che si traducono in false garanzie, vicine ai bisogni del cittadino egoista, capaci di generare in lui emozioni irrazionali. Vivo questa situazione con preoccupazione, senza rassegnazione però: non saranno né i giovani tout court, né gli anziani tout court a traghettare questa paese verso lidi migliori; saranno giovani e anziani acculturati, capaci di coltivare valori basilari, con l’obiettivo di garantire benessere a ogni cittadino, all’insegna dell’equità e dell’eguaglianza.