No alla revisione dell’assegno divorzile anche se lui ha acquistato immobili che provano l’incremento patrimoniale
L’impossidenza di lei dimostra che la spesa è stata sopportata da uno solo dei coniugi
È illegittima la revisione della condizione patrimoniale del divorzio anche se lui ha acquistato immobili che provano l’incremento patrimoniale. L’impossidenza di lei dimostra che la spesa è stata sopportata da uno solo dei coniugi. Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza 6888 del 20 marzo 2013, ha respinto il ricorso di una ex moglie contro la decisione della Corte d’appello di Potenza che ha rilevato che la possibilità di revisione delle disposizioni economiche in materia di divorzio avrebbe presupposto la sopravvenienza di circostanze tali da modificare l’equilibrio precedentemente raggiunto. La prima sezione civile ha ritenuto congruo il giudizio della Corte di merito che ha ritenuto che tale ipotesi non poteva trovare riscontro visto che lei risultava «impossidente» anche alla data del divorzio e che l’acquisizione degli immobili da parte del marito non poteva essere avvenuta con proventi di entrambi.
Per Piazza Cavour il principio richiamato dalla ricorrente circa la concessione dell’assegno divorzile, (che può essere richiesta per la prima volta anche in sede di revisione delle condizioni divorzili, si deve tener conto della sopravvenienza di giustificati motivi consistenti nel peggioramento delle condizioni economiche subite dall’istante a seguito dell’incolpevole perdita di lavoro, e nella sua quantificazione si deve tener conto del tenore di vita goduto dall’istante durante il matrimonio e durante i successivi periodi di convivenza e quindi della consequenziale aspettativa formatasi durante il detto periodo) appare assolutamente generico. Tal principio si basa esclusivamente sull’individuazione del parametro astrattamente utilizzabile per la concessione dell’assegno richiesto peggioramento delle condizioni economiche a seguito della perdita di lavoro e non opera alcun riferimento, dunque, alla situazione del caso in esame. Pertanto, alla ricorrente non resta che pagare 1.700 euro di spese.