Non basta il perdono della moglie per far ottenere le attenuanti generiche al marito violento
La lunga durata delle condotte addebitate, dai maltrattamenti alle offese, consente di escludere la concessione dello sconto di pena
È irrilevante il perdono della moglie per far ottenere le attenuanti generiche al marito che, con continuità, ha nei suoi confronti atteggiamenti aggressivi e violenti. Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza 46324 del 29 novembre 2012, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un uomo contro la decisione della Corte d’appello di Milano che lo ha condannato a due anni di reclusione per i reati, unificati da continuazione, di maltrattamenti, lesioni volontarie e minacce gravi in danno alla moglie convivente. La sesta sezione penale, in linea con la corte di merito, ha ritenuto che la responsabilità dell’imputato risulta congruamente provata per il reato di maltrattamenti dalle attendibili dichiarazioni della persona offesa, riscontrate dalla testimonianza della figlia maggiore della coppia, nonché dalla precedente condanna riportata dal marito per simili comportamenti criminosi. Per Piazza Cavour la lamentela relativa alla misura della pena, con cui si invoca la concessione delle attenuanti soltanto in base all’asserito postumo «perdono» della moglie, è priva di fondamenta in quanto la condotta aggressiva protratta nel tempo non legittima la concessione dello sconto di pena. Ne la difesa dell’imputato, che parla di aggressioni soprattutto verbali, riesce a censurare adeguatamente la statuizione. Insomma, gli episodi di violenza e prevaricazione ai danni della moglie, eseguiti con ripetitività e costanza temporale, rendono inammissibile la domanda dell’imputato nonostante sia stato perdonato dalla consorte. Al ricorrente non resta che il pagamento delle spese processuali e 500 euro in favore della cassa delle ammende.