Non è vero che la medicina è unisex , di Camilla Gaiaschi

da | Mag 6, 2013 | L'opinione

Serve uno "sguardo di genere": ne va della salute delle donne, ancora oggi troppo spesso soggette a diagnosi e trattamenti "a misura di uomo".


Anche in medicina serve uno sguardo di genere. Ne va della salute delle donne, ancora oggi troppo spesso soggette a diagnosi e trattamenti "a misura di uomo". Lo sostiene un numero crescente di esperte a livello internazionale, le fautrici della cosiddetta "medicina di genere": chirurghe, immunologhe e oncologhe che puntano il dito contro una scienza medica falsamente "unisex". Dei benefici di questo nuovo approccio se ne è parlato la settimana scorsa durante il convegno "Sex or gender differences in medicine?" organizzato dal Centro Donne e Differenze di Genere dell’Università degli Studi di Milano nell’ambito del progetto Stages (Structural transformation to achieve gender equality in science), coordinato a livello europeo dal Dipartimento delle Pari Opportunità italiano. I dati illustrati non sono di poco conto. L’esempio dell’infarto: non solo è la prima causa di morte tra le donne, ma colpisce più donne che uomini.

"Nei paesi occidentali, la mortalità per infarto è scesa dal 15% al 3-4% per gli uomini e dal 20% al 6% per le donne – spiega Patrizia Presbitero, primario di cardiologia interventistica all’istituto clinico Humanitas di Rozzano, in provincia di Milano – resta una differenza del 2-3% di mortalità maggiore nella donna, pur beneficiando, maschi e femmine, delle stesse cure".

La biologia, in questo caso, c’entra poco: "La principale ragione di questo gap sta nella sottovalutazione dell’infarto femminile – prosegue Presbitero – la diagnosi e l’ospedalizzazione arrivano tardi perché i sintomi nelle donne possono essere diversi da quelli della popolazione maschile e non vengono riconosciuti dal medico ma anzi ricondotti a problemi psicologici o di sovraccarico di lavoro".

Spesso è la stessa paziente a presentarsi tardi in ospedale: "I dati che abbiamo raccolto all’interno di Humanitas su più di 600 casi di infarto mostrano che i minuti dall’esordio dei sintomi all’arrivo in clinica sono 380 nella donna e 240 nell’uomo", precisa Presbitero. A pesare sono anche fattori socio-culturali riconducibili ai ruoli di genere: "la donna arriva più tardi al pronto soccorso o perché non riconosce il malore o perché non vuole disturbare i famigliari, non vuole allarmare".

 Che le differenze di cui la medicina dovrebbe tenere conto non riguardano solo il sesso ma, soprattutto, il genere, emerge anche da uno studio coordinato da Serenella Civitelli, chirurga e docente di chirurgia generale all’Università di Siena, su un campione di circa 170mila pazienti senesi e relativo al programma di screening di ricerca del sangue occulto e colonscopico. "Dalla ricerca emerge che, una volta risultato positivo lo screening, le donne più degli uomini si rifiutano di passare al secondo step, che è quello della colonscopia – spiega Civitelli – e i motivi addotti sono prevalentemente gli impegni famigliari. Semplificando, le donne sono prontissime a prendere appuntamento con il medico per il marito, ma quando si tratta di curare se stesse spesso declinano l’impegno adducendo ragioni quali la mancanza di tempo, con importanti conseguenze per la salute". La gerarchia delle priorità è determinata anche dalla sottovalutazione del fenomeno, spesso dovuta a una scarsa informazione: "Il cancro al colon retto è la seconda neoplasia più diffusa nella popolazione femminile – prosegue – ma le donne ritengono che non sia un problema loro".

 Studi clinici ed esperimenti sono l’altro terreno di battaglia della medicina di genere: nei trial per le malattie coronariche il numero di donne rappresentate all’interno dei campioni è il 10% circa e ciò comporta la messa a punto di farmaci e terapie più adatte al corpo maschile che a quello femminile. Lo stesso dicasi per il sesso degli animali da laboratorio e delle cellule staminali: secondo uno studio dei ricercatori Annaliese Beery e Irving Zucker, le femmine rappresentano circa il 10% degli animali utilizzati nella farmacologia.

 Le buone notizie, però, non mancano. Un potente gruppo di cardiologhe internazionali, le "Women in innovation", sta riuscendo a inserire sempre più donne nei trial clinici e dopo molte pressioni sulle case farmaceutiche ha reso possibile la commercializzazione, proprio quest’anno, di due valvole aortiche a misura di donna. "Si tratta di un traguardo enorme – commenta Patrizia Presbitero – fino allo scorso anno la mortalità delle donne durante le operazioni di sostituzione della valvola aortica era il doppio di quella degli uomini perché le valvole in commercio erano troppo grandi per le aorte femminili e potevano lacerare o rompere i vasi. Ora con le nuove valvole ci aspettiamo notevoli miglioramenti". Prendere in considerazione le differenze di genere, insomma, migliora la salute.

GiULiA