L’ultima volta che ebbi l’occasione di assistere ad una vendita all’incanto risale a parecchi anni fa quando durante una vacanza estiva sulla Riviera Romagnola, casualmente, attratta dalle suadenti parole che provenivano da un locale, incuriosita, entrai dove si stava svolgendo un asta pubblica e mi sedetti ad ascoltare, divertita, tutto il savoir-faire dell’imbonitore.
C’erano almeno una trentina di persone delle quali non più di un paio realmente interessate ad acquistare qualcosa, per lo più erano lì perché non sapevano come meglio passare la serata. Io, invece, poiché mio marito era dovuto tornare in città per il disbrigo di un’urgente pratica di lavoro, ero rimasta al mare per non rinunciare alla tintarella e per poter fare quello che di solito con Massimo, mio marito, non posso fare ossia passeggiare per le affollate vie della passeggiata riminese visto che lui è un tipo che, al contrario di me, non ama la confusione.
Ero seduta da almeno una mezz’oretta nella quale erano passati decine di quadri ed oggetti di dubbio valore quando venne il turno di presentare un’opera, un quadro per la precisione, di un autore sconosciuto ma che secondo il banditore era un potenziale novello Raffaello. Naturalmente non credetti ad una sola di quelle parole, ma il soggetto, un paesaggio montano, mi piaceva particolarmente e senza rendermene conto mi ritrovai nel bel mezzo di una disputa con forse l’unico interessato a quell’opera e in men che non si dica mi aggiudicai il quadro per la bellezza di ottocentomila lire più ovviamente i diritti d’asta. Il quadro mi fu recapitato il giorno dopo in albergo.
Si trattava di un bel quadro, ma non valeva assolutamente la cifra che avevo dovuto sborsare per ottenerlo, in più non sapevo proprio come dirlo a mio marito: avevo fatto una bella fesseria, ma ormai l’avevo fatta. Non vi dico come la prese Massimo appena lo venne a sapere e nemmeno tutti i “complimenti” di cui fui oggetto, vi dico solo che un bel giorno, qualche anno dopo, dovendo cambiare la cornice, che nel frattempo si era deteriorata, ci accorgemmo che il suddetto quadro era stato dipinto sul retro di un altro quadro. Evidentemente lo squattrinato pittore del paesaggio aveva usato il retro di un quadro che aveva in casa per dipingere il suo lavoro.
Ebbene, anche il dipinto nascosto era di un pittore che non conoscevo, un certo Aroldo Bonzagni di Cento, un paese nemmeno molto distante da Rimini, ma la mia ignoranza o sarebbe meglio dire la nostra ignoranza visto che nemmeno Massimo lo conosceva, fu compensata da una ricerca che feci in Internet dove potei rilevare che il Bonzagni non era proprio nessuno e alcuni dei suoi lavori raggiungevano quotazioni di svariati milioni. Per farla breve ora abbiamo in casa un quadro che ad occhio e croce vale, al cambio odierno, più di cinquemila euro. Non ho voluto venderlo perché quel paesaggio mi piace tanto e per ricordare al mio caro maritino che non sempre tutti i mali vengono per nuocere.
Mnemosine di Max Bonfanti ©Riproduzione riservata
Immagine: “Anemoni”, quadro di Aroldo Bonzagni (18871918)