Novembre di attenzione per un crimine senza data

da | Nov 27, 2011 | Editoriali

La violenza contro le donne e le ragazze continua con la stessa intensità in ogni continente, Paese e cultura. Questa impone un devastante dazio sulla vita delle donne, sulle loro famiglie e sull’intera società. La maggior parte delle società proibiscono questo genere di violenza – in realtà questa è ancora troppo spesso coperta o tacitamente condonata".
(Bana KI- Moon, Segretario Generale delle Nazioni Unite, 8 marzo 2007)

Novembre di attenzione per un crimine senza data

Il 25 novembre non è un giorno particolare che si ricorda volentieri o che tutti conoscono, eppure è ormai ricorrenza comune fra le donne mobilitarsi attorno a questa data.
E’ la giornata che l’ONU ha voluto indicare come richiamo collettivo a tutte le società e a tutti i governi affinché vigilino e combattano con ogni mezzo la violenza perpetrata contro le donne,   individuino gli strumenti idonei a combatterla e la considerino un’occasione per riflettere su questo fenomeno che purtroppo è ancora drammaticamente in crescita fino a rappresentare una vera emergenza su scala mondiale.

Una data simbolica che l’ONU ha voluto calendarizzare per sollecitare tutti gli Stati e le loro istituzioni, le organizzazioni internazionali e le Ong ad organizzare attività volte a informare e sensibilizzare l’opinione pubblica, una mobilitazione continua contro un crimine che non conosce date.

Per questo nel mese di novembre si svolgono moltissime iniziative a livello istituzionale, locale, associativo. Molti gli incontri per discutere di questo fenomeno sociale e sulla legislazione vigente; per promuovere  campagne di prevenzione e d’impegno di tutti i centri di sostegno alle vittime di questo reato. Perché la violenza di genere è un problema ormai dilagante e trasversale che non ha confini di classi sociali, culturali, di razza o religione. Lo si è visto, con grande evidenza, negli ultimi mesi, in cui non è passato giorno che non vi sia stato un caso di maltrattamenti, abusi, persecuzioni o omicidi.

Perché? È una parola e una domanda che non ha ancora trovato risposte esaurienti; da dove nasce questo fenomeno? perché è in aumento? le donne sono una categoria debole e a rischio?
Nel sentire comune, ma anche per storia,  cultura, legislazione,  politica ecc, si sono sempre considerate tre categorie di individui  sociali appartenenti a cosiddette fasce deboli: i vecchi, le donne e i bambini.
Queste tre gruppi umani, hanno subito di volta in volta  attenzioni o abusi dai  più forti, in linea generale uomini adulti. 

Come è avvenuto nei secoli passati, in cui le donne non andavano in guerra ma seguivano da lontano i loro uomini in situazioni protette; le mogli venivano mantenute dai loro mariti senza che questo risultasse disdicevole, anzi; la loro debolezza fisica era riconosciuta tale al punto da non considerarle idonee ai lavori pesanti, usuranti, notturni; considerate madri degli uomini del futuro, di quelli che dovevano mantenere la specie, il governo, il potere maschile; una fascia da amare, rispettare e difendere.

Apparentemente delle privilegiate…”privilegi” che le hanno rese invece subordinate; giacché  la concezione religiosa, storica, filosofica, culturale e politica le ha considerate così salvo  rilevare contemporaneamente che esse erano portatrici di malattie per l’uomo, ammaliatrici senza scrupoli, avide amanti, madri degeneri ecc.
Dunque la donna è stata considerata tutto e il contrario di tutto. 

O ancora negli anni del Fascismo nei quali esse prima si sono “immolate” per la patria e per il regime, accettando il ruolo di madre, riproduttrice degli uomini del futuro e di carne da macello, madri di un numero sconsiderato di figli come riconoscimento alla loro unica funzione di fattrici fino agli anni successivi, che le hanno viste protagoniste nella resistenza, nella ricostruzione, nella costruzione della prima Repubblica.

Infine, senza eccesso dietrologico, basti ricordare la fase più vicina, quella degli anni 70.
Nata a ridosso e come appendice al”68, in cui le donne hanno ancora una volta svolto il ruolo subordinato al “capo”, al compagno ecc. passando da “angelo del focolare” ad “angelo del ciclostile”, la presa di coscienza della donna si è sviluppata, a seguire quella americana, come un tornado ed operando come una vera rivoluzione.
La prima rivoluzione pacifica, che non ha lasciato morti dietro il suo cammino ma una nuova concezione di genere intesa più come elemento di arricchimento che non di differenza.
Una rivoluzione molto lunga, che ha cavalcato molte tempeste e la cui grande onda pare non essere arrivata a lambire il giusto approdo.
Come questa giornata di lotta contro la violenza di genere dimostra.  
 

Come lo dimostrano molte altre di discriminazioni più o meno visibili. Perché il potere, detenuto in maggioranza da uomini, è duro da cedersi; quindi le rappresentanze femminili sono ancora scarse o impari, anche se nel complesso delle civiltà evolute si è abituati a considerare le donne soggetti necessari, validi, con cui fare i conti, di cui avvalersi. Ed oggi che, nel nuovo governo nel nostro Paese sono entrate tre donne a reggere dicasteri di grande importanza , questa scelta suona come un segnale di cambiamento e di speranza. 

Ma c’è qualcosa su cui bisogna ancora vigilare:  il concetto che la donna non sia un oggetto ma un individuo, idea che pare non volersi schiodare dalla testa degli uomini.
Oggetto da usare anche contro la sua volontà, possederla con ogni mezzo salvo, quando non serva, tentare di disfarsene con la violenza fino alle estreme conseguenze.
Quale è questo istinto che nessuna cultura è ancora riuscita ad estirpare? 

Basta leggere i giornali, ascoltare la televisione, vedere i talk show dedicati alle vittime di violenza di ogni natura, quasi sempre donne, per comprendere che le celebrazioni valgono poco se non sono sostanziate da una politica più mirata e da leggi da rispettare. In Italia i Centri antiviolenza delle donne e le associazioni di sostegno alle donne maltrattate  denunciano un dato fortemente in aumento di quelle che si rivolgono a loro ma anche il terribile dato dell’omertà del numero delle vittime della paura che non hanno la forza di denunciare e di tutelarsi contro gli aggressori.
La violenza contro le donne si misura brutalmente con le sevizie in famiglia, l’obbligo a prostituirsi, ad avere rapporti non consenzienti, allo stalking, allo sfregio come punizione alla disubbidienza, aggressioni fisiche,  a omicidi.

In tutti i casi la donna è vittima di una violenza scatenata da uomini che la considerano una proprietà per diritto: è mia figlia, è mia moglie,  è la mia donna, era la mia ex, era una prostituta. Ogni volta l’aggressore, l’omicida, ha un suo buon motivo per ritenersi nel giusto e nel proprio diritto.
Cosa fare dunque se né leggi, né denunce riescono a fermare questo fenomeno? Se far rispettare ed attuare la legge è la prima cosa affinché divenga non è sufficiente come deterrente?

Se da secoli la violenza contro le donne non ha subito sostanziali cambiamenti, ovvero se in una condizione di modernità, di benessere, di nuove tecnologie e nuove scoperte scientifiche,  esistono ancora individui che non ritengono di commettere crimine nella violenza di genere, vuol dire che la società e i suoi governi non sono stati in grado di dare messaggi culturali adeguati.
A cominciare dagli insegnamenti scolastici e dai libri di testo, dove ancora non si parla sufficientemente di quanto le donne abbiano partecipato alla pari nella storia del paese;  dalle famiglie, che spesso danno esempi di maleducazione di genere o dove la donna è costretta a fare tutti i servizi; dai media, a cominciare dalla televisione, che inneggia a prototipi di donne che più sono volgari ed esposte più sembrano avere successo; al mercato pubblicitario, che offre il corpo femminile come merce da acquistare insieme a macchine, computer, telefonini, liquori ecc.
Un’ immagine di donna votata al lusso, al denaro, agli stereotipi della bellezza e del successo facile. Una donna da prendere. Ma anche che vuole farsi comprare.
Una cultura in cui i generi si affrontano e non s’incontrano.  Ed il cui risultato si trasforma  inevitabilmente in una possibile
la violenza che si perpetua in modo invisibile  attraverso la cultura  dominante  e una rappresentazione del mondo che le donne stesse hanno, loro malgrado, interiorizzata e fatta propria.
Nonostante il grande impegno di denuncia di molte, come nella più recente grande manifestazione del 13 febbraio,  “Se non ora quando”, e in molte altre in tutt’Italia, questi stereotipi sono ancora ben visibili ed utilizzati.

E’ necessario dunque partire dalle istituzioni a tutti i livelli, in particolare da quelli che operano a livello territoriale,  perché operino in tal senso.
Si deve cambiare l’ottica di genere anche attraverso il rapporto tra i due sessi in ogni luogo della politica, della società e del mercato del lavoro, evitando di porre ogni azione che riguarda le donne come una “questione femminile” avulsa dal contesto generale e non piuttosto come riguardante un gruppo storicamente svantaggiato,  con talenti spesso impossibilitati ad emergere.
Perché ricondurre questo grave problema ad un sostanziale ed ineluttabile perpetuarsi della debolezza di un genere non può che farlo ricadere in un ruolo complementare e subordinato e nella debolezza di un’intera società.

Dols, novembre 2011