Nel nostro Paese, ancora oggi, quando le donne fanno sentire la loro voce per rivendicare il loro ruolo nella società e quindi nelle rappresentanze istituzionali, nei luoghi decisionali, nel mondo del lavoro, un ruolo effettivamente paritario nelle opportunità e nell’immagine collettiva, si avverte una resistenza alla comprensione delle richieste avanzate ed una scarsa considerazione che fanno si che restino questioni interne ad una categoria, quella appunto femminile.
Sarebbe dunque molto importante che la società nel suo complesso, giovani ed adulti, studenti ed insegnanti, datori di lavoro e lavoratrici, mariti e mogli, uomini e donne, comprendesse che queste richieste non sono un obsoleto strascico post-femminista da guardare con ironia, né tanto meno frutto di alcune donne in cerca di una carriera ottenuta sgomitando anziché con le proprie qualità professionali. Sarebbe veramente ora che la cultura, quella che forma l’individuo alla sua radice, trasmettesse quanto la cosiddetta ‘questione di genere’ si ponga all’interno della più complessa questione dei diritti umani.
Non a caso essa fa parte degli impegni sostanziali delle politiche dell’ ONU che, nel 1979, hanno adottato la ‘Convenzione per l’Eliminazione di ogni forma di Discriminazione contro le Donne (CEDAW)‘, che l’Italia ha ratificato nel 1985. La CEDAW è il trattato internazionale più completo sui diritti delle donne.
Gli stati che firmano e ratificano la Convenzione s’impegnano ad adottare misure adeguate per garantire pari opportunità a donne e uomini in ambito sia pubblico che privato. Ogni quattro anni gli Stati firmatari devono presentare un rapporto governativo in cui illustrano tutte le misure che i propri governi hanno realizzato per raggiungere i risultati richiesti dalla CEDAW.
La società civile ha la possibilità di redigere ogni quattro anni, parallelamente ed in maniera autonoma, un proprio rapporto, il cosiddetto ‘Rapporto Ombra’, per fornire al Comitato CEDAW una propria analisi della condizione delle donne nel proprio paese e delle carenze a cui lo Stato deve ancora far fronte.
L’organo preposto a monitorare l’attuazione della convenzione da parte degli Stati è il Comitato CEDAW, composto da 23 esperti provenienti da tutto il mondo, eletti dagli Stati firmatari.
Dopo aver esaminato il Rapporto governativo e il Rapporto ombra, il Comitato formula le proprie raccomandazioni allo Stato esaminato, affinché modifichi e migliori re proprie politiche per l’ avanzamento delle donne nella società. Lo Stato è tenuto a considerare tali raccomandazioni e a risponderne negli anni successivi.
Per far conoscere il Rapporto Ombra sui diritti alle donne e le raccomandazioni che il Comitato CEDAW ha rivolto all’Italia in occasione della 49a sessione di valutazione tenutasi lo scorso Luglio 2011 presso le nazioni Unite a New York, la Fondazione onlus Pangea ha organizzato un incontro presso il Parlamento, aperto ai parlamentari dei diversi schieramenti politici, ai giornalisti, ai giuristi e alla società civile.
La Piattaforma ‘Lavori in corsa: 30 anni CEDAW‘ è stata un’occasione importante per discutere delle criticità più rilevanti, evidenziare le principali problematiche emerse dall’analisi sullo stato dei diritti delle donne in Italia e delle politiche per la loro attuazione, nonché avanzare proposte in quest’ambito.
Fra le criticità menzionate nel rapporto, si è evidenziato il mancato monitoraggio del Rapporto nelle sedi appropriate che ne ha, nei fatti, impedito l’attuazione nei luoghi specifici, come ad esempio le aule giudiziarie. Non a caso l’onorevole Rosa Calipari ha ribadito che è necessario avanzare delle proposte per trovare con i parlamentari alcuni punti specifici di condivisione e portare avanti iniziative anche in questa legislatura.
La giurista Barbara Spinelli ha evidenziato, a sua volta, quanto il Codice offra tutele differenziate in tema di pari opportunità ed i giudizi non presentano omogeneità discriminatorie. Ciò dimostra che la Convenzione, è ancora troppo poco conosciuta e non citata in giudizio; per questo è urgente che lo Stato solleciti tutte le istituzioni perché si possa applicare concretamente nei tribunali.
Altro elemento di criticità di rilievo è quello degli stereotipi, che l’on. Rossana Scaricabarozzi ha messo in evidenza denunciando una cultura ed un a rappresentazione di genere degradante per le donne che non solo i mass media hanno praticato ma anche la stessa politica. La proposta avanzata è quella di adottare una politica integrata per tutte le generazioni e programmi scolastici e universitari adeguati.
L’on. Benedetto Della Vdova ha sottolineato che la questione di genere appartiene ancora ad una delle grandi fratture di questo Paese che portano ad una dispersione di energie e capitale umano specialmente nell’ambito del lavoro tra generazioni, tra nord sud, tra generi.
Violeta Neobauer infine, membro del Comitato CEDAW, nel suo intervento ha voluto ribadire la necessità che si comprenda la natura e l’ambito del CEDAW come strumento unico per l’applicazione sostanziale delle norme della Convenzione all’interno della quale sono contenute 28 raccomandazioni generali per gli Stati partner e che, pur non essendo essi obblighi vincolanti, ci si aspettano delle risposte.
Il Comitato raccomanda però all’Italia, di considerarlo strumento vincolante giuridicamente nella difesa dei diritti umani. Esiste dunque la necessità di aumentare la visibilità del suo protocollo, che deve circolare tradotto il lingua italiana (questo si è un obbligo) specialmente presso tutte le amministrazioni locali.
E’ stato ricordato e ribadito che nelle osservazioni conclusive che il Comitato aveva già inviato al nostro Governo, si rilevava l’eccessiva natura descrittiva e frammentaria delle informazioni ricevute sulla situazione delle donne e delle bambine e questo non è che un segnale ulteriore della scarsa attenzione del governo in materia.
Ecco perché il Rapporto Ombra, il Comitato e la CEDAW sono da considerarsi fondamentali sia del diritto internazionale che nazionale.
In particolare il Comitato CEDAW indica ad ogni Stato la strada del progresso, del miglioramento delle condizioni di vita e dei diritti per ogni donna e bambina. E’ necessario farlo conoscere e far sapere che se le istituzioni non attuano le misure adeguate, come da esso suggerite, le conseguenze sfavorevoli ricadono non solo su tutte le donne, che sono oltre la metà della popolazione, ma volenti o nolenti, su tutta la collettività.
l’indro, 18 gennaio 2012