In che modo nel corso dei secoli le nostre convinzioni sulla mascolinità hanno plasmato la tecnologia, e come potremmo ripensare l’innovazione per un futuro che metta al centro l’intelligenza delle donne, invece di escluderla come ha fatto un modello economico disegnato dagli uomini per gli uomini? Ne abbiamo parlato con Katrine Kielos – giornalista svedese autrice di libri come Who Cooked Adam Smith’s Dinner? e Mother of invention, che in poco tempo sono diventati dei veri e propri bestseller – in occasione della sua partecipazione all’evento Prossima: il futuro dell’innovazione è plurale, organizzato da inGenere a settembre negli spazi del Milano Luiss Hub e che ha coinvolto una rete di imprenditrici, innovatrici ed esperte di politiche per ripensare la tecnologia in una prospettiva femminista.
Nel tuo libro Mother of Invention parti dalla storia commerciale della valigia con le ruote per mostrare come gli stereotipi di genere possano essere così profondamente radicati nella cultura da prevalere persino su evidenti interessi di mercato, ritardando l’adozione di innovazioni in un’economia plasmata da precise convinzioni sulla mascolinità. L’idea che debbano essere gli uomini a sollevare i pesi materiali ha impedito di cogliere il potenziale di un prodotto che avrebbe poi trasformato non solo l’esperienza delle donne che viaggiano da sole, ma un’intera industria globale. Succede ancora oggi? Il sessismo continua a frenare l’innovazione?
Sì, è difficile dimostrarlo così come riesco a fare nel libro, con esempi storici, perché stiamo parlando di idee e progetti che al momento non vengono finanziati, sostenuti, né presi sul serio. Però è qualcosa che succede ancora oggi, ed è proprio per questo che ho scritto il libro: raccontare esempi tratti dalla storia in cui abbiamo perso delle opportunità a causa dei preconcetti di genere è un modo per mostrare quanto la posta in gioco sia alta. L’indicatore più evidente di quanto questo fenomeno sia attuale è la scarsità di investimenti destinati alle fondatrici di startup, in Europa e nel mondo. Alle donne viene assegnato appena il 2% del capitale di rischio a livello globale, e questo significa che stiamo perdendo un’enorme quantità di potenziale innovativo.
Quante idee brillanti sono andate perse nelle nostre economie progettate dai maschi e per i maschi, e che hanno puntato tutto sui combustibili fossili liquidando invenzioni come l’auto elettrica considerandole frivolezze per signore?
Penso che il modo in cui si è parlato di innovazione, soprattutto negli ultimi quindici o vent’anni, sia stato dominato da un linguaggio molto maschile e tradizionalista. Il vecchio motto di Facebook era move fast and break things (muoviti in fretta e distruggi tutto). L’innovazione dovrebbe “distruggere”, “sconvolgere”, “schiacciare”, ma credo che questa narrazione sia poco funzionale: in fondo fare innovazione significa risolvere problemi, trovare soluzioni. Quindi perché non parliamo di innovazione come qualcosa in grado di riparare, aiutare, aggiustare? Il modo in cui definiamo l’innovazione plasma ciò che poi l’innovazione stessa diventa, e quindi anche la tecnologia. Questo è un punto centrale all’interno del libro. Soprattutto in campo economico tendiamo a pensare alla tecnologia come a una forza neutra, come se non potessimo far altro che prevederne l’evoluzione, come si trattasse di prevedere il meteo. Ma siamo noi a creare l’Ai, a costruire le auto, a finanziare certe idee e a ignorarne altre. Sono scelte umane, radicate nelle società umane, e questo ne influenza lo sviluppo, così come il modo in cui ne parliamo.
In che modo, secondo te, una presenza più forte delle donne nel mondo dell’innovazione potrebbe contribuire a guidare l’evoluzione della nostra specie verso una società più giusta, un’economia più sostenibile?
Credo che servano più fondi per le donne e per le loro idee, prima di tutto da un punto di vista meritocratico. Moltissime ricerche sull’innovazione dimostrano che è più probabile che trovi una soluzione a un determinato problema chi quel problema lo vive ogni giorno. Le donne sono presenti in settori strategici della società, del mercato del lavoro e all’interno delle aziende, affrontano problemi reali e in molti casi sono quindi anche le più qualificate per risolverli. Eppure, non vengono messe nelle condizioni di farlo, quindi innanzitutto dovremmo concentrarci su questo. E poi c’è la questione più ampia che sollevi: se l’innovazione fosse più “inclusiva”, diventerebbe qualcosa di diverso? Io credo di sì.
In che modo la immagini, a partire da quali percezioni presenti?
Io sono svedese, e ho lavorato su quesi temi con il Royal Institute of Technology di Stoccolma, che aveva difficoltà ad attrarre studentesse nel suo incubatore d’impresa. Partecipavano quasi solo uomini, e questo rappresentava un problema. A quel punto hanno provato a fare qualcosa di apparentemente molto semplice, cioè cambiare il linguaggio. Hanno smesso di usare frasi del tipo: “Sei il nuovo Elon Musk?”, “Hai un’idea che può cambiare il mondo?”, “Hai tutto ciò che serve per essere un imprenditore?”, e cominciato ad approcciare la questione in modo diverso, cambiando il messaggio in: “Vuoi aiutarci a risolvere un problema?”, “Hai voglia di contribuire?”. Risultato? Non solo sono riusciti ad attrarre più donne, ma anche più uomini. Un linguaggio più collaborativo e inclusivo sull’innovazione non è attraente solo per le donne, ma riesce a far crescere la partecipazione di tutti. Alla fine è questo che vogliamo: le idee migliori, i talenti migliori, le persone migliori.
Se pensiamo al mondo dell’arte, come hai avuto modo di sottolineare in diversi tuoi interventi, lo stesso gesto creativo viene spesso valutato in modo diverso a seconda che sia compiuto da un uomo o da una donna — celebrato come “arte” in un caso, liquidato come “artigianato” nell’altro, con inevitabili conseguenze sul valore di mercato delle opere. Una diversa cultura dell’innovazione potrebbe sovvertire il valore che attribuiamo alle cose? Che cosa significa per te “innovazione”, e perché è così importante ripensarne il senso da una prospettiva femminista?
È importante perché ha a che fare con il futuro: le idee di oggi plasmano il domani. E quindi la conseguenza pratica di dati come quello secondo cui il 98% dei capitali di rischio vanno agli uomini, o del fatto che le donne fanno fatica ad attrarre investimenti, è che le soluzioni pensate dalle donne resteranno fuori dal futuro, il che è una questione molto seria. Il problema che sollevi relativo al modo in cui valutiamo l’arte in base al genere di chi la produce è antico, ed è sicuramente entrato anche nel mondo dell’innovazione. Dobbiamo renderci conto che tutti e tutte ci portiamo dietro dei pregiudizi, ed è per questo che parlare di questi temi è fondamentale. Per esempio, chi ha rifiutato l’idea della valigia con le ruote probabilmente non era consapevole del perché. Si limitava a dire che era un’idea che non funzionava, che non ispirava, difficile da vendere. Ma non aveva idea di cosa si celasse dietro pensieri di quel tipo. Chiaramente per me, per noi, oggi, è facile capirne le ragioni guardando al passato, la cosa difficile è accorgersene nel momento in cui accade, mentre ci si è dentro. Ed è proprio questo il punto dell’innovazione: essere in grado di vedere cose che ancora non si vedono, guardare dove non abbiamo mai guardato. Serve consapevolezza e motivazione, perché in gioco c’è il futuro. E il futuro è importante.
Nelle tue analisi metti in relazione la storia dell’industria — e quindi delle tecnologie che utilizziamo ogni giorno — con le credenze legate al genere e alla divisione dei ruoli. Rendere esplicito questo legame ci mostra, tra le altre cose, come tutto ciò abbia contribuito a generare divari salariali e di competenze nel mercato del lavoro. Forse dovremmo iniziare a pensare alle idee come a oggetti fabbricati per rispondere alle esigenze di soggetti specifici, invece di continuare a considerarle verità neutre piovute dal cosmo. Dopotutto, questo è stato uno degli argomenti centrali dell’epistemologia femminista. Quali autrici o letture hanno maggiormente influenzato la tua prospettiva in questo senso?
Amo molto leggere autrici di fantascienza, o comunque autrici che propongono un punto di vista alternativo, perché la fantascienza è immaginazione, e significa anche immaginare l’innovazione e la tecnologia. Spesso queste scrittrici hanno un approccio più umano, più relazionale, vedono la tecnologia come qualcosa che riguarda i corpi, la natura. Ursula K. Le Guin scriveva di questo: anche un tavolo o una borsa è una tecnologia. Ecco, questa definizione molto più ampia della tecnologia mi piace molto. Quindi consiglio vivamente di leggere fantascienza scritta da donne.
Come vedi il futuro dell’innovazione in un mondo in cui gli uomini detengono ancora la maggior parte delle risorse e quindi hanno il potere di decidere che cos’è la tecnologia, quanto vale e a cosa serve? E quali sono, secondo te, le trasformazioni più importanti in corso a cui dovremmo prestare attenzione per ridefinire il futuro dell’intelligenza?
Non sarà una sorpresa che lo dica una giornalista economica, ma credo che il settore finanziario sia fondamentale. Perché dove vanno i soldi, secondo quale logica e con quali incentivi, conta moltissimo. Credo ci siano leve importanti nel sistema finanziario da attivare e anche nuove logiche economiche alternative da costruire. Non dico che “seguire i soldi” sia l’unico modo per capire il mondo, ma è sicuramente un ottimo punto di partenza. C’è un elemento importante sul piano macroeconomico: le donne avranno molto più capitale nell’arco dei prossimi due decenni, specialmente in occidente. Vivono più a lungo, e quindi erediteranno ingenti ricchezze dalla generazione dei baby-boomer. Questo creerà una situazione senza precedenti: per la prima volta, le donne controlleranno e useranno più ricchezza, e questo potrebbe davvero cambiare molte cose, trasformarle. Quindi la risposta è il denaro.
Dietro le quinte dell’evento di Milano ci hai raccontato che hai lavorato a un nuovo libro in uscita a breve, puoi anticiparci qualcosa?
Certo, in Svezia sta per andare in stampa. Si intitola A Woman’s Worth: The Economic Gaslighting of Women (Il valore di una donna: il gaslighting economico delle donne). È un libro che analizza le narrazioni che condizionano il rapporto delle donne con il denaro, sia a livello individuale che collettivo, economico e culturale. Identifico cinque grandi storie che, anche se pensiamo di aver superato, continuano a plasmare in profondità la percezione che le donne hanno del proprio valore. E le decostruisco, una per una. Parto dal mito del capofamiglia maschio. Quell’idea per cui gli uomini sono sempre stati responsabili del sostentamento, mentre le donne stavano nella caverna, è falsa: le donne hanno sempre lavorato, con o senza salario. Il “modello tradizionale” con l’uomo fuori e la donna a casa non è affatto la norma storica.
Quali sono gli altri “miti da sfatare”?
Nel libro parlo della leggenda della prostituzione come mestiere più antico del mondo, che in realtà è un’invenzione ottocentesca dell’autore britannico Rudyard Kipling, e che però nella pratica ci ha portato a collegare l’indipendenza economica femminile al sesso e alla vergogna. Affronto poi il “mito” – collegato in qualche modo all’innovazione – secondo cui gli uomini sarebbero più audaci e le donne più caute. Anche questo non trova riscontro nella realtà, se si guarda alle ricerche in campo economico e a come nella realtà uomini e donne valutano il rischio. La differenza è minima, ma viene spesso misurata in modo distorto. Parlo anche dell’invecchiamento, di come in Europa l’ageismo sia una nuova forma di sessismo: le donne vengono escluse dal lavoro o ritenute meno “di valore” molto prima degli uomini. Da dove viene quest’idea e che conseguenze ha sulle donne? Infine, c’è l’idea per cui basterebbe diventare come gli uomini per avere gli stessi risultati. Secondo questa credenza se studiassimo come loro e facessimo i loro lavori, guadagneremmo quanto loro. Perché non è così? Il messaggio di fondo è che il rapporto con il denaro è profondamente emotivo e determina moltissimi aspetti della nostra vita.
Allora speriamo che i tuoi lavori vengano presto tradotti anche in italiano…
Grazie, la mia agente inizierà a vendere i diritti a ottobre alla Fiera del Libro di Francoforte.

