Riflettiamo durante l’estate, quando anche la competizione agguerrita ed improduttiva dovrebbe andare in vacanza, sull’incapacità di alcuni genitori di accettare le sconfitte dei figli, siano esse nello sport, nella scuola o in altri compi della vita. Ciò mette in risalto un male del nostro tempo: in generale non si vogliono più accettare le sconfitte. L’invecchiamento è combattuto con il botulino, i filler e la chirurgia, le sconfitte nel gioco del pallone con la violenza verbale e non solo contro l’allenatore, i brutti voti con le critiche solo alle maestre.
Questo genere di genitori sono persone immature e incapaci di accettare la sconfitta, non hanno imparato che perdere fa parte della vita: perdere è uno strumento per crescere. Mettendosi invece a diretto confronto con i propri limiti si ha la possibilità di ridimensionare l’onnipotenza infantile. Pensiamo al bambino piccolo tra le braccia della mamma: crede che il mondo sia a portata di biberon e invece crescendo deve comprendere, altrimenti sarebbe una frustrazione continua, che la realtà è una conquista quotidiana.
Giungere alla vittoria significa mettere in campo, nel caso dello sport di squadra non solo in senso figurato, le proprie competenze e impiegare tutto l’impegno possibile per raggiungere un buon risultato, ma il genitore rimasto bambino non ce la fa. Egli si identifica nel proprio figlio e si aspetta da lui quella vittoria che magari nella vita non è riuscito a realizzare. E allora, proprio come farebbe un bambino, si accanisce contro il suo rivale perché come un bambino non sa usare il dialogo sereno e pacifico quando riceve una sconfitta.
Per concludere: in certi casi andrebbero “squalificati” i genitori per incapacità educativa.
Maria Giovanna Farina ©Riproduzione riservata