Dopo la meravigliosa fioritura primaverile i peschi hanno allietato le tavole dei consumatori di questo frutto. Mai mancanti nell’ alimentazione estiva e consigliate per i loro requisititi dissetanti e benefici, nonché ricchi di vitamine e di sali minerali.
Questo frutto, per la sua bellezza e per i suoi colori è entrato nel nostro linguaggio come paragone di un incarnato fresco e luminoso, di una pelle vellutata e tonica: “pelle di pesca”. In altre culture il pesco e la sua fioritura vengono legati simbolicamente all’immortalità, alla fedeltà, al silenzio, all’amore ed in ultimo alla fertilità e alla femminilità.
Questi loro pregi fanno sì che le filiere dei coltivatori ne smercino una grande quantità. Dalla successiva maturazione alla vendita, il cammino delle pesche è spesso lungo, dipende dalle stagioni, e non privo di rischi di malattie e contaminazioni. Motivo per cui i grandi rivenditori, quali i supermercati, le debbano smerciare prima che marciscano all’interno dei propri depositi.
A proposito, in questi giorni è stata divulgata una campagna pubblicitaria del marchio di supermercati Esselunga per promuoverne la vendita dei propri prodotti. Inconsapevole coprotagonista ci viene mostrata, per l’appunto, una bellissima pesca, integra ed invitante. Ma oltre c’è di più.
Rivolgendosi a clienti e compratori di ogni genere, lo spot vuole collegarsi alla parte più vulnerabile degli individui, quella dei sentimenti.
Nelle immagini, peraltro di grande qualità, non manca nulla: la mamma, la bambina, il prodotto, il luogo.
Ma ecco che a quel punto s’insinua il dubbio: perché manca il padre?
Lo spiega la seconda e più emozionante parte dello spot che punta soprattutto a mostrare una bambina dal volto smunto, sguardo infelice, che sarebbe perso nel vuoto se non incontrasse sul suo cammino quel bel banco di pesche che le fanno allungare una manina.
“Vuoi una pesca?” sbotta la madre, che avendola persa di vista si avventa su di lei, un po’ come tutte le madri frettolose che si trascinano dietro carrelli, figli e liste della spesa. Poi, pentita, per cancellare la sua colpa all’indisponibilità ne acquista una.
Ma la diabolica macchina delle pubblicità e del marketing non si fermano qui.
Quel frutto sarà il dono che la piccola intenzionalmente aveva preso per farne dono al padre, assente ma non per sua volontà. Ce lo fanno capire subito che lui è un buon padre, mica nervoso come la mamma.
Lui che accoglie la figlia a braccia aperte come se nella sua vita non esistessero più lavoro, relazioni, sport. Lui che anelerebbe a ricongiungersi con quella perfidia donna che non voleva neanche comprare la pesca che gli ricorderà con nostalgia la famiglia unita. Chissà mai che la bambina non funga da Cupido. E la piccola attrice, simile ad una pesca per dolcezza di modi e pelle, interpreta benissimo l’imbroglio del messaggio e va perdonata.
Da alcuni settori dell’informazione giornalistica e politica è stato osservato che questo spot invierebbe un messaggio equivocabile, una critica al diritto al divorzio, alle famiglie “diverse” ecc.
Eppure, se un cambiamento culturale c’è stato rispetto al secolo scorso, con la conquista di diritti ormai imprescindibili e introiettati nella società non dovremmo avere di questi timori. Anche perché il fenomeno del femminicidio dimostra che il mantenimento della famiglia tradizionale non è un’assicurazione sulla vita.
Famiglia e consumo non si sposano, a parte i costi della spesa, e al di là dei simbolismi il dibattito in corso poteva essere evitato salvo offrire maggiore esposizione mediatica a chi lo ha pensato. Comunque la stagione delle pesche volge al termine e se le trovassimo abitate da un verme, c’ è un solo rimedio, non comprarle.