Protezione internazionale alla ragazza fuggita dalla Nigeria per evitare le nozze imposte dal padre

da | Dic 13, 2016 | Anno 2016

Sì al ricorso della straniera: grave violazione della dignità il matrimonio non voluto, il giudice deve verificare la situazione nel Paese d’origine e la possibilità di ottenere tutela dalle autorità locali – Ordinanza 12 Dicembre 2016

 

Va concessa la protezione internazionale allo straniero che scappa dal suo Paese per evitare un matrimonio combinato. A sancirlo è la Cassazione con l’ordinanza n. 25463/16, pubblicata oggi dalla sesta sezione civile.
La Corte di legittimità affronta il caso di una donna nigeriana, scappata dal suo Paese per evitare di contrarre un matrimonio forzato, imposto dal padre e le conseguenti violenze fisiche e morali. La Corte di appello rigettava la sua richiesta di protezione internazionale, decisione sbagliata secondo la ricorrente perché il giudice non solo aveva confuso lo status di rifugiato con i requisiti ai fini della concessione della protezione sussidiaria, ma aveva anche escluso la rilevanza dei comportamenti persecutori ascrivibili all’identità di genere.
Piazza Cavour decide di ribaltare la sentenza e accoglie l’istanza. La decisione della Corte di appello non ha valutato «se la pratica del matrimonio forzato costituisca una realtà sociale accettata nel paese di provenienza della ricorrente né ha valutato che in tema di protezione sussidiaria, la costrizione a un matrimonio non voluto costituisce una grave violazione della dignità e, dunque, trattamento degradante che integra un danno grave, la cui minaccia, ai fini del riconoscimento di tale misura, può provenire anche da soggetti diversi dallo Stato, allorché le autorità pubbliche o le organizzazioni che controllano lo Stato o una sua parte consistente non possano o non vogliano fornire protezione adeguata». L’altro aspetto trascurato dalla Corte territoriale è che il diritto alla protezione sussidiaria non va escluso solo perché a causare gravi danni allo straniero sono soggetti privati «qualora nel Paese d’origine non ci sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela». Il giudice, in tali casi, ha il dovere di effettuare una verifica «officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali».