Quando la salute mentale è femminile

da | Ott 6, 2025 | Dietro la lente

Esiste la salute mentale in assoluto, ma quando è al “femminile”?
Perché porsi questa domanda? Perché la donna, in quanto tale,  per mentalità sociale, per teorie psicoanalitiche è un soggetto fragile, sensibile. Ma davvero? Perché non considerare invece che il fenomeno della devianza sia giovanile che adulta interessa soprattutto i maschi?
Essendo io una psicoterapeuta psicoanalitica, mi sono dovuta confrontare con la teoria più famosa, ma anche più tradizionale, cioè quella freudiana. Poi ho seguito anche quella del maestro francese Jacques Lacan.

Il pensiero di Sigmund Freud è legato alla scienza, che non è infallibile o onnipotente, né dovrebbe pretendere di spiegare lo scibile umano. Mentre in modo comunque saggio e meticoloso, Freud spiega in larga misura i sintomi partendo proprio dall’isteria, nevrosi tipicamente femminile.
Erano anni in cui la talking cure era già conosciuta e far parlare malate di mente era un mezzo utile per venire a capo con la propria esistenza.

Ricordo la figura di Sabine Spielrein, curata da Jung, ma allieva di Freud, capace di valutare la pulsione di morte come predominante fin dall’ infanzia. In un contesto culturale Rousseauniano che ancora definiva l’ infanzia come “pura”.

Ma qui non dico nulla sulla teoria se non che è altamente maschilista perché definisce la donna come mancante, da curare come patologica. E se invece il contesto del disagio fosse ambientale, cioè familiare o di coppia, perché non curare tutto questo? Nella mia prassi svolgo questa cura di attenzionare il contesto dei legami familiari e sociali.

Freud come Lacan si avvalgono di definizioni che rimandano comunque alla struttura.
Dell’ Edipo, madre-padre-figlio, fratello o sorella. In cui, però, domina la figura paterna, quella che segna il simbolo o significante come cardine del pensiero e dell’ emotività.

Chissà perché poi, la madre è contrassegnata da un rimando alla sua dipendenza dal padre o dal figlio, quest’ultimo a sua volta il suo “fallo”, ovvero il suo aspetto vitale e brillante, che il padre regola nel suo rapporto di desiderio inconscio con lei. Tuttavia ho imparato all’università (Padova) che per tramandare il linguaggio la madre, deve avere già acquisito da sé una funzione simbolica, non necessariamente regolata da una legge paterna.

Freud era ebreo, Lacan era cattolico. Entrambi erano intrisi di religioni che hanno come fondamento il ruolo paterno. Da loro e da tanta psicoanalisi proviene una interpretazione in tal senso patriarcale e tradizionale del ruolo della donna non tanto di reciprocità, ma di mancanza di autonomia dall’ uomo.

Incontro nel mio studio di psicoterapia varie donne giovani e meno giovani che hanno un rapporto frustrato o difficile con l’ uomo e insegno loro a farsi rispettare con dignità, perché sono donne innanzitutto ma non inferiori all’ uomo, né sottomesse a lui. Sembra difficile anche la relazione con il loro padre che trascende spesso nella fragilità, tanto da chiedermi: “Cosa resta del padre?”, volendo anche citare un noto libro di Massimo Recalcati.
Perché se dobbiamo separarci e autonomizzarci dalla figura maschile, dobbiamo creare un’ottica critica di lettura, anche dei suoi sintomi, per aiutare i legami familiari a essere armoniosi.