Non credo che esista un problema specifico che riguardi il rapporto madre-figlia. Credo che esista un unico problema: la donna. L’immagine, il ruolo, il posto della donna nella società, di cui ogni madre è rappresentante e simbolo per la propria figlia. E’ qui che si stabilisce il rancore, l’insofferenza, la disperazione della figlia verso la madre: si intravede in lei la colpevole della condizione che sarà anche della figlia, così come di tutte le donne.
Ognuno tende a vivere tutta la storia come propria storia, il passato della società come fosse il proprio passato, il passato della propria famiglia, ognuno tende a riassumere, a ricapitolare i problemi di tutta la società come problemi psicologici personali. Sotto questo spetto si potrebbe forse intendere meglio quello che intuiva Freud quando pensava che nella storia evolutiva dell’uomo, anche se questo avviene solo simbolicamente, nel senso che per ogni individuo l’inizio della propria storia coincide con il ricordo della propria infanzia, del proprio rapporto con il padre, con la madre.
Fino ad oggi le donne, quando hanno odiato fino in fondo l’essere madre, e la propria madre, hanno avuto poche via d’uscita: il monachesimo, la prostituzione, la schizofrenia. Il monachesimo: strada di maternità sublimata, negazione della sessualità, in cui è evidente l’odio (anche se si può chiamarlo “amore”) verso la famiglia come istituzione, e verso i propri parenti, che però vengono lasciati con il benestare della società e quindi con una forma apparentemente attenuata di ribellione alla istituzione familiare insita nel rifiuto del matrimonio e nella scelta della vita monastica: un conflitto con il ruolo della donna e della propria madre, che si esprime nella forma sublimata della verginità.
La prostituzione, che spesso si configura nell’adolescente come una fuga da casa, come ribellione al ruolo, e alla persona della propria madre, è a sua volta la negazione evidente dell’immagine della “madre”, un’immagine che la società ha idealizzato in una casta sessualità, in una sessualità, cioè, che è redenta dalla maternità stessa. E tuttavia anche la prostituzione è un modo fallimentare di essere diverse dalla propria madre, di distruggerne l’immagine in se stesse, e, attraverso il proprio corpo consumato e profanato, in tutti gli uomini.
La schizofrenia, infine, è una ribellione che non osa neanche configurarsi come tale, una fuga in una strada senza uscita, perché rifiuta qualsiasi aggiustamento sociale, qualsiasi “falsità” di ruolo, anzi il concetto stesso di ruolo come “posizione” in rapporto agli altri. Dice una delle “schizofreniche” di cui parla Robert Laing in Normalità e follia nella famiglia , la dolcissima Lucie, che come tutte le schizofreniche è una donna sommersa da una dote straordinaria di sensibilità e di intelligenza: “Non sembra vi sia una soluzione – non è più rimasta nessuna mossa – che mossa si potrebbe fare? Nessuna – non c’è speranza. E’ come una partita a scacchi, uno resta inchiodato e non si muove più”.
Ed è per questo, perché si è inchiodati comunque, che la figlia odia la madre, anche quando questa ha tentato di liberarsi, con il divorzio, con il lavoro, con l’arte: perché è una liberazione singola, individuale, parziale, che è in conflitto con la società, con la cultura, con l'”ideale” di madre. Se si è madri, si è cattive madri, sempre, comunque. Una buona madre, una vera madre non esiste. E’ per questo che i figli, gli uomini, se ne sono costruita una secondo i loro desideri: Maria. E’ vergine, intatta prima e dopo il parto, e ha un solo figlio, solo a metà “biologico”, e maschio.
Commento di Marta Ajò
Purtroppo possiamo aggiungere un’altra “categoria” fra le via di fuga delle figlie: l’anoressia.
Chi, infatti, più della giovane che percorre questa strada è in conflitto permanente con la madre?
L’anoressia fa si che il corpo della figlia venga ridotto ad una larva, senza forze e senza desideri: non quello di essere figlia, non quello di essere madre. E’ un corpo che si spenge e si consuma per punire qualcun altro; la sublimazione della morte attraverso uno dei peggiori sistemi: il digiuno.
E’ vedere la propria figlia spengersi lentamente, giorno dopo giorno, nell’impossibilità di qualsiasi dialogo, compreso quello dell’amore, che, questo “male”, diviene la punizione peggiore che possa essere inflitta ad una madre, consapevole che essa stessa ne è la causa e che per ciò appunto, non potrà fare niente per salvarla.