di Elisabetta Righi Iwanejko
Finalmente una Repubblica dalla parte delle donne. L’attenzione ora è sulla legge che dovrà concretizzare il quesito referendario. Un voto di civiltà, che porta San Marino fuori dal Medioevo. Un voto consapevole, inequivocabile, di legittimazione dei diritti, che finora sono stati limitati da una legge anacronistica, che praticamente è una violenza sulla donna. Quanti abusi si sono consumati, quante sofferenze patite, probabilmente non lo sapremo mai. Quante donne sammarinesi hanno dovuto rivolgersi fuori confine. Un’ipocrisia che finalmente potrà finire.
È l'ora delle valutazioni. La valanga di sì dimostra un voto corale, indiscutibile, non interpretabile, che gratifica tutti coloro che hanno lavorato e che hanno fatto in modo di arrivare a questo risultato. Ma che sicuramente non riflette un pensiero maturato nelle due settimane di campagna referendaria. I cittadini sammarinesi erano già di questa opinione, solo la politica non era riuscita a cogliere il sentimento, la coscienza, la maturità della popolazione. Non ha fatto il suo mestiere per anni.
Un altro dato che fa riflettere è quello sul 40 per cento di sammarinesi che non ha votato. Le ragioni sono le più disparate: dal menefreghismo all’impossibilità oggettiva. Difficile analizzare l’assenza. Probabilmente ha pesato anche una campagna referendaria molto aspra, giocata su toni quasi terroristici. Il comitato contrario si è espresso con immagini e slogan che hanno disturbato la sensibilità di molte persone. Una campagna da santa inquisizione, incomprensibile nel terzo millennio, in un paese che della libertà ha fatto la sua bandiera e la sua tradizione democratica.
Il no ha avuto percentuali bassissime anche nelle roccaforti democristiane, l’unica forza politica apertamente schierata per il no. Oppure non sono andate a votare, il che comunque avrebbe un significato.
Non meno battaglieri, ma sicuramente più pacati i toni usati dal comitato promotore, che ci ha messo l’anima, oltre che il cuore, per spiegare che legalizzare non vuol dire liberalizzare. Una campagna molto seria, impostata sull’informazione scientifica per dire che la donna va ascoltata, aiutata, seguita, curata. Per dire che l’aborto può essere evitato se ci sono strumenti e strutture di sostegno alla donna e alla famiglia, ma che se diventa l’ultima ratio, non può essere perseguito con la galera. Un tema che tocca tutti, a differenza di molti altri che possono lasciare indifferenti, che tutti possono comprendere. Per questo ha vinto l’autodeterminazione individuale. Per questo l’aborto non sarà più reato penale.
La politica ora deve tradurre in legge il risultato referendario e deve legiferare in maniera consapevole e democratica. Una legge applicabile, non ipocrita, che tuteli le persone, questo dovrà essere il risultato finale. Altrimenti è un’altra battaglia persa. Ci sono sei mesi perché la politica dia una risposta seria. Infine, ma non certo per ultimo, il plauso alla regolarità e alla sicurezza dello svolgimento delle operazioni di voto, pur in presenza delle restrizioni a causa della pandemia. Ottimo il lavoro di coordinamento svolto tra tutti gli organismi coinvolti, con la supervisione della Segreteria per gli Affari Interni. Anche questa una bella immagine di efficienza e di operatività. Oltre tutto sotto la stretta osservazione di decine di giornalisti stranieri, interessati a seguire quanto sta succedendo a San Marino su un tema riconducibile ai diritti di genere. E che San Marino ha vinto.