di Daniela Carlà*
Vi è un equivoco, difficile da svelare e confutare perché alcune errate informazioni sono ricorrenti per ciò che attiene al riequilibrio di genere nei luoghi di potere e alla previsione di specifici meccanismi o quote a vantaggio del genere meno rappresentato.
L’informazione sbagliata ma, purtroppo, diffusa riguarda la presunta iperregolamentazione che diffonderebbe quote di genere in ogni direzione. Secondo tale valutazione, misure a sostegno della presenza quantitativa delle donne pioverebbero in ogni direzione, senza l’ombrello del merito che le consuetudini maschili del potere invece utilizzerebbero.
Queste quote non derivanti dalle competenze e dai talenti favorirebbero dappertutto le donne in quanto tali. I detrattori delle politiche normative di contrasto alle discriminazioni possono tranquillizzarsi e dormire sogni tranquilli. Infatti, non è così. La vigente normativa di contrasto alle discriminazioni con quote quantitative riguarda solo le società quotate in borsa e le controllate pubbliche e ha dato inconfutabilmente ottimi risultati in termini di performance delle imprese.
Altre normative specifiche interessano, a tutti i livelli, le sole assemblee elettive. Il nostro ordinamento e ‘invece del tutto privo di una normativa di carattere generale che riguardi le nomine e le designazioni pubbliche, sia nei luoghi decisionali che per quanto attiene alle consulenze.
Mi riferisco alla normativa vigente, perché invece durante il periodo fascista il nostro ordinamento ha conosciuto e praticato una normativa generale riguardante l’impiego pubblico che mirava espressamente a proteggere le quote azzurre, ossia la presenza maschile, e a contenere la presenza delle donne, soprattutto marginalizzandole.
E’ invece proprio quella norma che non c’è, coraggiosa e ad ampio spettro, con funzioni antidiscriminatorie nei confronti delle donne, che sarebbe indispensabile per attuare gli articoli 3,51 e 97 della Costituzione, dotando il paese delle competenze quantitative e qualitative delle quali ha bisogno a tutti i livelli di governo.
Occorrerebbe prevedere il 50 e 50 come attribuzione della porzione di potere per ciascun genere, o almeno un riequilibrio del 40% per il genere meno rappresentato. E occorrerebbe farlo con urgenza, per affrontare in modo adeguato e serio le responsabilità che l’insolito e complesso periodo che stiamo vivendo ci consegna, con conseguenze che coinvolgono il futuro del paese e il destino delle nuove generazioni che lo frequenteranno.
Sostengo da molto tempo la necessità di tale norma per riequilibrare i luoghi di potere a vantaggio del genere meno rappresentato, qualificando l’esercizio dei poteri pubblici. La normativa dovrebbe coinvolgere anche le cariche e le designazioni monocratiche, basando in tali casi la valutazione sulla considerazione di periodi di riferimento.
Perché una legge? Ci si domanda.
Domanda retorica, perché la risposta è nelle cose.
L’esperienza insegna che, se non interviene un obbligo normativo, i tempi diventano infiniti, non corrispondenti alle aspettative e neppure alle esigenze reali.
Il potere si arrocca e include solo chi è conforme alle logiche esistenti e consolidate. “Noi rete donne” ha elaborato una specifica e articolata proposta che riguarda tutte le nomine e tutte le designazioni pubbliche, ivi comprese quelle relative alle authority.
Una riflessione specifica meritano la Corte Costituzionale e il Consiglio Superiore della Magistratura, quest’ultimo con urgenza.
Il nostro Parlamento ha all’esame un disegno di legge sull’argomento, prima firmataria la Sen. Roberta Pinotti, nel complesso coerente con l’elaborazione prospettata da “Noi rete donne”. Le scadenze imposte dal particolare momento, la concentrazione sulla legge di bilancio, l’elezione del presidente della Repubblica, l’eventuale legge di riforma elettorale in vista delle prossime elezioni, creano però ora un ingorgo.
Vi è il rischio concreto che anche in questa legislatura non si proceda all’approvazione della fondamentale norma per il riequilibrio di genere. Dovrebbe invece costituire una priorità, proprio per attrezzarsi per affrontare con responsabilità le problematiche nuove e complicate della gestione della crisi pandemica, della ricostruzione del paese anche con le risorse del Pnrr.
Non possiamo più permetterci di sprecare competenze, di non considerare talenti, di riproporre parzialità, di proiettare visioni miopi e contingenti. Di recente la ministra delle Pari Opportunità Elena Bonetti ha presentato l’esito di un importante gruppo di lavoro sull’argomento, che ha prospettato analisi e proposte puntuali, elaborate da costituzionaliste..
Sono adeguatamente risolti alcuni dubbi giuridici che, se era lecito prospettare, non è più utile sbandierare. pregiudizialmente..
Non vi sono dunque proprio più alibi, L’obiettivo è chiaro, la stessa Costituzione impone la previsione della normativa antidiscriminatoria per il riequilibrio di genere nelle cariche e nelle designazioni pubbliche. Il nostro paese non può più attendere.
Non sarà sufficiente approvare la legge, altrettanto decisivo sarà seguirne e valutarne l’attuazione, anche per correggerne limiti eventuali e inserire le modifiche necessarie alla luce dell’esperienza. Importante è non rinviare ancora, nell’interesse dell’intera collettività.
Contemporaneamente, una riflessione specifica dovrà coinvolgere le problematiche dell’accesso alla dirigenza pubblica e i percorsi di carriera nella pubblica amministrazione.
Fondamentale è il ruolo della scuola superiore della pubblica amministrazione, che dovrà procedere, come da tempo propongo, alla valutazione dell’impatto di genere del proprio operato.
Centrale è il nodo della trasparenza sia per quanto riguarda i percorsi di carriera nella pubblica amministrazione che per ciò che concerne in generale il complesso delle designazioni e delle nomine pubbliche. È da considerare con gran favore la recente previsione, nel disegno di legge per la concorrenza approvato il 4 novembre dal Consiglio dei Ministri, di procedure più trasparenti per le nomine nelle authority indipendenti, allo scopo di depotenziare le pressioni dei partiti sulle designazioni.
Sono misure neutre, ma che finiscono col favorire il riequilibrio di genere.
Lo stantio argomento, abusato e noioso, secondo il quale non sono utili specifiche norme antidiscriminatorie perché a rilevare non è il genere ma piuttosto le competenze, non è più proponibile.
Lo scopo delle norme antidiscriminatorie è proprio quello di rimuovere gli ostacoli alla valorizzazione del merito e delle competenze. I due obiettivi, pari opportunità di genere e riconoscimento del merito, coincidono soprattutto in un paese come il nostro ancora attraversato da dicotomia, logiche castali, familismo.
Il più potente fattore di trasformazione e di accelerazione dell’innovazione è proprio il riequilibrio tra i generi. Ovvio che non sarebbe necessaria in astratto una legge, ma è altrettanto ovvio che senza norme che obblighino al rispetto di comportamenti antidiscriminatori chi gestisce il potere tende a rinchiudersi e a favorire meccanismi istintivi di autodifesa.
Scardinare logiche maschiliste e castali delinea un impegno faticoso, che vale la pena assumere nell’interesse di tutti, anche perché è la sola condizione per favorire non genericamente le donne in quanto tali (una spruzzata al femminile oramai non si nega più…)ma quelle più libere, più autonome, più competenti, meno disponibili e funzionali alla innocua cooptazione da parte degli uomini.
*Dirigente generale della Pubblica amministrazione. Promotrice di “Noi rete donne”