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INTERVISTA ESCLUSIVA A RITA LEVI MONTALCINI
Il mio 25 aprile, e ai giovani dico che…
di Nella Condorelli
Aveva ventinove anni, Rita Levi Montalcini, una laurea in medicina e gia’ quasi dieci anni di ricerca sul sistema nervoso, presso la scuola medica dell’istologo Giuseppe Levi a Torino, quando le leggi razziali emanate dal regime fascista la costrinsero, lei ebrea sefardita, a lasciare tutto, e ad emigrare lontano.
Va in Belgio, a Bruxelles, e qui sempre con Giuseppe Levi mette su’ un piccolo laboratorio casalingo. E’ il 1938. Rita continua cosi’, nella diaspora piu’ tragica e simbolica della condizione umana nella storia contemporanea, quella ricerca scientifica che cinquantanni dopo, nel 1986, la portera’ al premio Nobel per la Medicina. A lei, una delle prime donne scienziate del Novecento europeo, si deve la scoperta del fattore di crescita nervoso NGF, la molecola proteica che gioca un ruolo essenziale nella crescita e nella differenziazione delle cellule sensoriali e simpatiche del nostro sistema nervoso. Era il 1951.
Oggi la Premio Nobel e senatrice a vita Rita Levi Montalcini – la nomino’ il 1 agosto del 2001 l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi -, ha 99 anni, appena compiuti.
Il suo ritmo di partecipazione alla vita politica e sociale, alla comunita’ scientifica, non e’ mutato di un centimetro, forse solo la voce si e’ fatta un po’ piu’ flebile.
Continua il suo impegno a favore dei diritti delle donne, sua per esempio l’idea di conferire borse di studio a giovani studentesse universitarie africane per favorire la leadership femminile scientifica dei loro Paesi, uno dei progetti piu’ importanti della Fondazione Levi Montalcini, creata nel 1992 con la sorella Paola e dedicata alla memoria del padre.
Continua lo studio sulle conseguenze delle guerre e dei conflitti nello sfruttamento delle risorse ambientali, con particolare riferimento alle risorse idriche, che anima l’attivita’ della sezione italiana della Green Cross International, ong riconosciuta dalla Nazioni Unite, presideduta da Mikhail Gorbaciov.
Continua l’impegno istituzionale: il 29 aprile, Rita presiedera’ al Senato la seduta di insediamento del nuovo ramo del Parlamento.
Ma, se si cerca di indovinare qual’e’ la prima cosa cui pensa ogni mattina, si capisce subito che in cima a tutto c’e’, sempre e soltanto, la ricerca scientifica. C’e’ il laboratorio casalingo di Bruxelles dove, giovane profuga ebrea in quel 1938 delle italiche leggi razziali fasciste, inizio’ a studiare il sistema nervoso dei vertebrati; c’e’ il laboratorio della casa sulle colline di Asti, dove si trovava il 25 aprile del 1945, la Giornata che con la Liberazione di Milano e del nord Italia segna la fine dell’occupazione nazista del nostro Paese. La fine della sciagurata avventura ideologica e bellica di Mussolini.
Fuor di retorica, in questo 25 aprile 2008, il pensiero dell’intervistatrice davanti alla senatrice Rita Levi Montalcini va proprio a quella mattina del 1945. Va ai martiri ebrei della Shoah, ai lager, alle lunghe file di baracche,alle fosse comuni, alle camere a gas che l’arrivo dell’esercito sovietico ad Aushwitz avrebbe rivelato per primo al mondo. Va a prigionieri politici, italiani, inglesi polacchi, russi, francesi, americani.., agli omosessuali, ai rom, agli zingari, che vi trovarono anch’essi la morte. Va all’intolleranza che genera e nutre ogni orrore.Al significato della Memoria nell’odierna societa’ dell’informazione.
Senatrice, che cosa provo’ quel 25 aprile di sessantatre’ anni fa, quali pensieri alla notizia che la lotta partigiana aveva liberato Milano, e con essa il suolo italiano dall’esercito nazista?
“Ricordo bene il 25 aprile del 1945, la Liberazione, ricordo la mia emozione, l’esaltazione. Per me, significava la fine di un periodo oscuro: passavamo da un regime totalitario ad un sistema democratico. Provavo sentimenti che si sommavano uno sull’altro, emozione, gioia, soprattutto una straordinaria gioia. Cessavano finalmente anni di persecuzione nazifascista contro gli ebrei, considerati “razza inferiore”. Nella comunita’ scientifica europea, molti di noi, anche Albert Einstein, e non solo io, avevamo dovuto subire questo peso assurdo, essere considerati “razza inferiore”. Adesso la fine del regime fascista e delle leggi razziali ce ne liberava: non sarebbero piu’ esistite le razze ma solo i razzisti.”.
Senatrice, nuove e vecchie intolleranze esplodono oggi in Italia e in Europa, tornano a galla simboli e slogan antidemocratici che credevamo seppelliti per sempre. Il fenomeno colpisce i piu’ giovani. Come parlargli, su cosa dovrebbe riflettere l’azione politica rivolta a loro?
“Oggi nella societa’ italiana, come in quella europea, ci sono due componenti, quella che riconosce l’enorme vantaggio della pratica democratica, e quella che non vuole riconoscerlo. E’ chiaro che i giovani sono i piu’ vulnerabili, i piu’ sensibili, quelli piu’ esposti. A loro dunque dico: riconoscete la differenza che passa tra la pratica democratica e quella totalitaria, riconoscete il suo vantaggio, guardando alle sue conseguenze.
La celebrazione del 25 aprile e’ estremamente importante perche’ ogni anno ci rammenta quanto dobbiamo apprezzare i vantaggi della nostra Costituzione, nata da quella lotta di Liberazione dal regime totalitario.Credo che un’azione efficace rivolta ai giovani debba innanzitutto tenere in conto questo, partendo dalle loro esigenze, dai loro linguaggi. Per quanto mi riguarda, nell’attualita’ politica, riconosco questo vantaggio al percorso del partito Democratico, dagli uomini e dalle donne del governo di Romano Prodi a Walter Veltroni. A tutti, va oggi la mia stima e il mio affetto.
http://www.articolo21.info/notizia.php?id=6635