Ritarda “sine die” la maternità per motivi di salute, delibata la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, 24 ottobre 2011

da | Ott 26, 2011 | Anno 2011

Ritarda “sine die” la maternità per motivi di salute, delibata la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio
La Prima sezione civile conferma la decisione della Corte d’Appello di Venezia

Principio analogo espresso da altre sentenze  Consulta massima e sentenza relative all’articolo
 Può essere delibata la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio nel caso la moglie, per motivi di salute, ritardi “sine die” la gravidanza.
È quanto affermato dalla Corte di cassazione che, con la sentenza n. 21968 del 24 ottobre 2011, ha confermato la decisione con la quale la Corte d’Appello di Venezia ha delibato nell’ordinamento italiano la sentenza di nullità del matrimonio pronunciata dal Tribunale ecclesiastico.
La donna ha impugnato la pronuncia di fronte alla Suprema corte lamentando in diversi punti del ricorso depositato al Palazzaccio che la sua non era una riserva mentale sulla procreazione ma si trattava di un semplice ritardo dovuto a una vecchia gravidanza difficile e all’anemia mediterranea.
Ad avviso della difesa, insomma, sussisteva la violazione di legge «per l’omessa rilevazione del contrasto con l’ordine pubblico interno, ravvisato nella violazione del diritto alla salute, costituzionalmente garantito dall’art. 32 Cost. La documentazione prodotta avrebbe infatti comprovato le gravi condizioni psicofisiche in cui versava essa ricorrente, e ciò avrebbe dato conferma sia dell’inesistenza di una intenzione di non avere figli che della reale esigenza di un differimento temporaneo della maternità, per la ragione ora indicata».
Ma secondo gli Ermellini, la denuncia della pretesa lesione dei diritti alla salute e di difesa, che determinerebbe un contrasto con l’ordine pubblico interno, risulta poi inconsistente sotto un duplice
aspetto. Da una parte questa violazione è stata prospettata non già in ragione dell’affermazione di principi o dell’applicazione di metodiche da parte del giudice ecclesiastico contrastanti con la tutela dei sopra citati diritti, costituzionalmente garantiti, ma piuttosto sotto il profilo degli effetti che, in ragione della decisione adottata dal giudice all’esito degli accertamenti disposti ed effettuati secondo la vigente disciplina del codice di rito applicabile in tale giudizio, si sarebbero determinati in danno della ricorrente.
Dall’altra è stata sostanzialmente delineata una interpretazione del materiale probatorio difforme da quella posta dalla Corte veneziana a base della sua decisione, interpretazione che a sua volta presupporrebbe un accertamento in punto di fatto, e cioè l’esistenza di
una grave condizione di salute della donna, l’incidenza negativa ( anche solo potenziale ) di una eventuale maternità sulle dette condizioni, l’attribuzione del dato relativo all’assenza di figli all’esigenza di difendere la propria salute, accertamento che non risulta esservi stato