Rosa López Díaz, 33 anni, indigena tzotzil, chiusa nel carcere di San Cristóbal de las Casas, in Chiapas, con il figlio.
Intervista realizzata a distanza da Luisa Betti
Febbraio-aprile 2012
1. Rosa, tu da dove vieni? Qual è la tua provenienza, cosa fa la tua famiglia, mi puoi raccontare la tua vita prima del tuo arresto?
Io vengo da una famiglia umile e di scarse risorse, sono indigena di lingua tzotzil e ho 33 anni. A giovane età mia madre mi insegnò a fare le tortillas e a 5 anni già le preparavo per tutta la famiglia, andavo al mulino di Nixtamal (dove si tritano i chicchi di mais, ndt), bollivo i fagioli, pulivo la casa, lavavo le cose dei miei genitori e dei miei fratelli visto che io ero la maggiore di tutti e quindi li accudivo perchè mia madre vendeva tortillas al mercato e mio padre si dedicava a lavorare e a coltivare il campo per portare avanti la famiglia; così passarono gli anni e ai 14 mi misi a lavorare in una casa come serva dove facevo i lavori domestici e mi pagavano 100 pesos (circa 6 euro) al mese e passati alcuni anni conobbi Rafael e mi innamorai, almeno questo ho sentito. Non ci frequentammo per molto tempo, solo alcuni mesi, e decidemmo di sposarci con il consenso dei miei genitori. Passati alcuni mesi arrivarono le botte, i maltrattamenti, rimasi incinta della mia prima figlia quando avevo 17 anni e così passarono gli anni e rimasi nuovamente incinta alla fine ebbi 5 figli con lui. I nostri costumi e le nostre tradizioni ci dicono di sopportare l’uomo e tutte le umiliazioni fino a che uno dei due non muore. Solo così si rimane liberi, però io sopportai un crudele tradimento: addirittura davanti a me passava con l’altra donna ed io sola, facendomi coraggio, perchè non potevo andarmene per i miei figli e per le tradizioni fino a che un giorno mi disse che non servivo a nulla e che l’altra era meglio e che gli stava affittando una casa. Io rimasi zitta. Alla fine un giorno lui mi disse che andava a lavorare ed io andai al mercato e per caso li incontrai insieme facendo acquisti e portavano per mano una bambina, che era la loro figlia. Quel giorno rientrai a casa molto arrabiata e la sera arrivò lui e mi picchiò mentre io ero incinta e il giorno seguente se ne andò a lavoro, la mia vita era già un inferno. Da diversi anni lavoravo facendo gli orli alle camice, lavando cose fuori casa per mantenere i miei figli e lui ancora mi picchiava fino a che un giorno mi disse: “Me ne vado, ti lascio, parto per gli Stati Uniti con l’altra, ti manderò i soldi per i bambini”. Dentro di me dissi Grazie a Dio, solo lo guardai e non dissi nulla. Prese le sue cose e se ne andò. Questo successe all’inizio del 2004 e passarano due anni durante i quali lavorai come domestica, mi pagavano 800 pesos (50 euro circa, ndt) al mese e di notte facevo gli orli alle camicie, per andar avanti coi miei figli. Un giorno inaspettato conobbi Alfredo che vendeva, vestiti e accessori domestici al mercato. All’inizio diventammo amici, dopo alcuni mesi diventammo fidanzati e un anno dopo decidemmo di sposarci, alla fine del 2006, però prima gli raccontai la mia vita e lui mi disse che era triste ma che dovevo darmi un’altra possibilità e che la vita era bella soprattutto se condvisa e mi convinse, mi innamorai di lui mi piacque la sua buona forma di parlare, mi piace tutto di lui. Mi portava a lavorare con lui mi insegnò molti posti che non conoscevo, tutto era così bello, mai mi sarei immaginata di finire in carcere solo per essermi rifatta una vita con l’uomo che amo e noi due lottiamo per uscire presto dal carcere che ci ha insegnato molte cose tra le quali l’amore, il rispetto ma soprattutto i nostri diritti umani, che prima non conoscevamo, ora sappiamo che abbiamo il diritto di scegliere con chi condividere la nostra vita per vivere degnamente.Questa in breve è la mia storia.
2.Tu sei nel carcere di Cristobal dal 2007, mi puoi raccontare in maniera dettagliata di quale reato sei stata accusata? E come funziona la legge messicana riguardo al reato che ti è stato addossato?
Mi accusarono di un secuestro che mai si commise nè io commisi. Lo zio del mio ex-marito, tutti e due si chiamano Rafael, la rabbia di questo zio è perchè mi sono sposata con un altro uomo, cioè con Alfredo. Alfredo per di più ha un cugino che si chiama Juan Collazo Jimenez che si innamorò di Claudia Estefani, la figlia dello zio del mio ex. Un giorno inaspettatamente decidono di frequentarsi Cluadia e Juan e, secondo i nostri costumi, scapparono e si “unirono” di nascosto dei genitori. Era così grande la rabbia dello zio del mio ex che ci denunciò per il secuestro di sua figlia di 14 anni, secondo le voci che ascoltarono i miei genitori. Suo zio mi fece mettere in carcere perchè io possa vedere che nessuno si burla della sua famiglia e di suo nipote e per rendermi così la vita impossibile. La cosa più triste è che questo delitto è punito fortemente e l’ingiustizia che si commise nei nostri confronti è che le autorità non hanno mai investigato se siamo o meno colpevoli del delitto di cui ci accusano e, per corruzione, rinchiudono persone innocenti come noi, che siamo 4 coinvolti nello stesso caso: Alfredo Lopez Jimenez Pedro Lopez Jimenez e Juan Collazo Jimenez. Noi ci domandiamo quante altre persone sono vittime dell’ingiustizia delle autorità corrotte.
3. A quanto ammonta la pena che devi scontare? E i tuoi compagni a quanto sono stati condannati?
A me e al mio sposo ci hanno condannato a 27 anni e 6 mesi gli altri 2 a 37 anni.
4. Mi puoi raccontare come si sono svolti in realtà i fatti di cui la polizia ti accusa?
Innanzitutto il compagno che ho oggi si chiama Alfredo Lopez Jimenez e ha un cugino che si chiama Juan Collazo Jimenez, che si innamorò della figlia dello zio del mio ex marito. Non so per quanto tempo furono fidanzati. Comunque lui aveva già tanta rabbia nei miei confronti perché mi ero sposata con Alfredo per rifarmi una vita. Quindi un giorno all’improvviso Juan y Claudia Estefani decidono di scappare ovvero si “unirono” di nascosto. Lo zio del mio ex andò a fare denuncia ma, visto che non sapeva come si chiamava chi gli aveva rubato la figlia e per vendicarsi di me e del marito che ora ho, gli fu facile denunciare me e Alfredo e ci accusò di aver sequestrato sua figlia Claudia di 14 anni sapendo che quello che diceva non era certo, mentì e passo una mazzetta alle autorità; secondo le voci che sono arrivate alla mia famiglia dissero che avevano pagato 40.000 pesos per farci incarcerare, perchè io gli procuravo vergogna e che ho disprezzato la sua famiglia e suo nipote. Il triste di tutto ciò è che il delitto di cui ci accusano è molto pesante e oggi stiamo pagando per un delitto che il pubblico ministero ha inventato, anche se la montatura l’hanno fatta bene visto che le prove le hanno ottenute sotto tortura. Così oggi mi trovo a pagare un delitto che non ho mai commesso.
5. Mi puoi descrivere il momento del tuo arresto?
Mi trovavo con mio marito nel centro della città di San Cristobal seduti sulle panchine della piazza. Stavamo lì mangiando cocco perchè io avevo la nausea perchè ero incinta al 4 mese quando all’improvviso ci gridano di sdraiarci a terra; mio marito rimase a guardare perché non pensava che lo stavano dicendo a noi ma ci colpirono alle spalle, cademmo a terra e cominciarono a perquisirci per vedere se portavamo qualcosa come se fossimo dei delinquenti davvero. Mio marito chiese qual’era il problema e che gli mostrassero qualche mandato; quelli risposero: “Lo vuoi?” lui rispose di sì, allora gli puntarono una pistola alla testa e lui rimase zitto. Ci alzarono e ci coprirono la faccia con le nostre cose e ci portarono in un posto sconosciuto. All’arrivo fecero scendere mio marito e non so neache a quale distanza lo portarono l’unico che ricordo sono le sue grida che potevo sentire e cominciarono a domandarmi: “Dove la tenete sequestrata ed io risposi: “a chi?” e loro: “Non fare la stupida” e mi diedero dei cazzotti e tornarono a ripetere la domanda e gli risposi che non avevo sequestrato nessuno e per questo mi colpirono allo stomaco e io li avvisai che ero incinta ma loro dissero che non importava e continuarono a colprmi. Mi misero un pezzo di stoffa bagnata in bocca e una busta di plastica in testa e sentii che mi stavano asfissiando e in quei secondi sentii la morte. Non so per quanto tempo mi torturarono solo sentivo dolori molto forti e insoportabili dovuti alla gravidanza. Non potevo vedere la faccia di quelli che mi picchiavano perchè ero bendata e legata. Non so dopo quanto tempo riportarono mio marito e lo fecero risalire sul furgone; nuovamente il furgone si mosse e mi portarono in un altro posto sconosciuto. Non so per quanto tempo camminò il mezzo solo ricordo che mi fecero scendere e camminare attraverso un patio e all’arrivo mi fecero sedere vicino a dei barili vuoti, rimasi seduta 20 o 30 minuti mi alzarono tirandomi dai capelli e cominciarono nuovamente a colpirmi facendomi la stessa domanda: “Dove tenete Claudia?” e io risposi: “non so di cosa mi state parlando”. Mi rimisero il pezzo di stoffa bagnato in bocca e la busta di plastica in testa dicendomi: “quando vuoi parlare muovi la testa” e mi tolgono la busta dicendomi “dirai che tu e Alfredo avete sequestrato Claudia” e io risposi “no non dico bugie perchè non ho fatto niente” quindi mi dettero un calcio e caddi a terra e mi presero per i capelli e mi trascinarono per 2 o 3 metri, ascoltai che uno di loro disse di aprire la porta e lì mi chiusero e comincairono a molestarmi sessualmente: mi toccavano in tutte le parti del corpo e mi diedero due schiaffoni e mi dissero: “Stupida devi dire che avete sequestrato Claudia, tu e Alfredo l’avete progettato” e io risposi: “questo non è certo, non abbiamo sequestrato nessuno”; e continuarono toccandomi e mi tolsero i pantaloni e le manette e bloccandomi le mani mi tolsero la camicietta e mi lasciarono completamente nuda. Non so quanti erano, solo sentivo che uno diceva: “io sarò il primo”, e dentro di me pensai mi avrebbero violentato e io dissi: “Vi prego, vi supplico per l’amore di Dio non mi violentate dirò quello che volete” e risposero: “Vedi com’è facile, se l’avessi detto prima non avresti passato tutto ciò. Dirai che avete sequestrato Claudia chiedendo un riscatto di 2 milioni di pesos. L’avete progettato tu e Alfredo” e mi chiesero: “Sei pronta?” risposi di sì. Allora arrivò una donna, che mi vestì e mi rimise le manette e mi disse “cammina, stupida” e mi tirò dai capelli facendomi cadere la benda dagli occhi e così mi resi conto che stavo in una stanza con dei barili vuoti. Camminai un altro po’ e mi fecero sedere quasi insieme a mio marito che stava in un altra stanza dove mi registrarono la voce dicendo quello che loro mi dicevano di dire e lì sì vidi le faccie degli uomini e uno di loro era grasso e con occhiali. Così fu come accettai di essere colpevole di un delitto che non ho commesso nè abbiamo commesso e mi dicharai colpevole. Non so dopo quanto tempo arrivarono delle persone con le macchine fotografiche a farmi delle foto e delle persone eleganti che mi fecero firmare dei fogli in bianco e uno che conteneva parole però non sapevo per cosa erano. Così fu come mi arrestarono.
6.Tu quando se stata arrestata eri incinta, come è stato preso in considerazione il fatto che eri in gravidanza?
Essendo una donna, indigena, analfabeta e povera non rispettarono i miei diritti umani e mi trattarono peggio che a un animale.Non hanno sentito niente nel cuore al colpire una donna incinta, come se loro non avessero avuto una madre. Fu spaventoso, terribile. A nessuna donna desidero quello che ho sofferto nelle mani delle autorità corrotte che non meriterebbero di avere la vita, fu molto doloroso. Oggi chiedo a Dio forza e fermezza d’animo per andare avanti.
7. Vorrei sapere qual è stato il trattamento che hai ricevuto in carcere e se hai subito torture e violenze, e se sì, quali tipi di torture, per quanto tempo e se sei stata costretta a firmare una confessione contro la tua volontà.
Nel momento in cui entrai nella sezione femminile del carcere ebbi molta paura perchè ero terrorizzata e traumatizzata da quello che avevo subito, ma grazie a Dio non mi picchiarono più. Altre donne indigene come me mi diedero appoggio dandomi unacoperta per il freddo, caffè, cibo e altre cose. Loro furono vittime di ingiustizia e di maltrattamenti da parte di quelle autorità che si fanno chiamare protettori dei diritti umani.
8. Hai avuto paura di morire?
Sì, ebbi paura di morire perché mi dissero che se non mi dichiaravo colpevole del delitto mi avrebbero fatto salire in una macchina, portato in qualche terreno abbandonato e mi avrebbero amazzato. Mi dissero: “chi ti reclamerebbe?” fu anche questo il motivo per cui accettai di dirmi colpevole di un delitto che mai avvenne nè ho commesso.
9. So che il tuo bambino è nato con gravi deformazioni a causa delle torture che hai subito in carcere e che è morto a 4 anni. Mi puoi descrivere da cosa era affetto, quale era la sua vita, cosa è stato fatto per salvarlo?
Io e il mio sposo prendemmo la decisione di mandarlo da mia madre perchè lo portasse dal dottore. Già aveva 4 mesi e mia madre lo prese e cominciò a cercare aiuto. All’ospedale le davano l’appuntamento però quando andava per la visita le dicevano che non aveva nessun appuntamento. Allora andò in un altro ospedale pubblico e le chiesero se aveva pagato la visita e mia madre, con tutto il dolore nel cuore, se ne andò perchè non aveva i soldi per pagarla. Così passarono gli anni e mia madre gli dava da bere atole (bevanda a base di mais), camomilla e altri frullati per mantenerlo e cresceva senza alcun cenno dimovimento nel suo corpo e non vedeva. Era un gran dolore quello che sentiva mia madre nel veder mio figlio che non poteva neanche sedersi. Molte volte piansi con mio figlio dicendogli ti amo, sono lacrime che piangevamo assieme quando me lo portava al carcere. Nonostante tutto mia madre non si arrese cercando aiuto e li ricevettero al DIF (Sistema per lo sviluppo integrale della famiglia) Municipio di Teopisca Chiapas. Allora mi figlio aveva già 3 anni. Cominciarono delle terapie di movimento, stirandogli i piedi, le mani e facendogli dei massaggi però non ci furono risultati. Noi bussamo alle porte delle istituzioni governative con denunce ma non ci risposero mai. la vita di mio figlio fu quella di un morto in vita per tutti i suoi 4 anni e 16 giorni, fino a che non ce la fece più e morì davvero il giorno 26 di ottobre del 2011. È un dolore molto grande, insopportabile, fino ad oggi ancora non sono riuscita a superarlo, mi manca il suo calore, mi manca il suo viso, queste righe le scrivo con le lacrime agli occhi non posso rassegnarmi al fatto che non tornerò a vederlo mai più, però per mio figlio Leonardo e per voi andrò avanti fino a che non riconquisterò la libertà.
10. Hai mai pensato di a fare appello alle organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani, come Amnesty International o Human Rights Wach, per denunciare lo Stato Messicano e per far diventare il tuo un caso internazionale?
Si, perchè qui in Chiapas e in Messico non c’è giustizia. Le autorità che si dicono competenti si dedicano solo a ledere i diritti umani, a inventare delitti contro persone innocenti come oggi lo hanno fatto con me e per questo chiedo umilmente alle organizzazioni internazionali che possano intervenire nella mia situazione visto che sono le uniche organizzazioni che curano e proteggono i diritti umani, e affinchè nessun’altra donna sia vittima di ingiustizia.
11. Ora so che hai un altro bambino con te, Leonardo, fino a quando rimarrà con te? E dopo che farà?
Da quando è nato Leonardo sta con me, ormai sono già tre anni, e starà sino la metà del mese di luglio del 2012 e dopo andrà a vivere con i miei genitori e andrà a scuola come tutti gli altri bambini. Mi duole stare senza di lui, non vederlo crescere, non vedere i suoi primi disegni. E’ un grande dolore.
12. Ci sono altre donne in carcere con te che hanno bambini?
Sì, ci sono altre donne.
13. Mi puoi descrivere la situazione che vivete come donne in carcere con bambini piccoli: quali sono i trattamenti, dove partoriscono le donne in carcere, se c’è un pediatra, dei Medici, se vi forniscono medicine. C’è un ambiente adatto per i piccoli appena nati? Come siete organizzate (bagni, cibo, disposizione delle celle, ecc. per voi e i bambini)?
Per cominciare posso dire che è molto duro e difficile tenere un figlio in carcere, ci ammazziamo di lavoro sino a tarda notte o sino all’alba per guadagnare qualcosa e comprare pannolini, vestiti e altre cose per il piccolo perchè nessuno ci appoggia. Quando partoriamo adesso ci portano all’ospedale “Las Culturas”, mentre prima ci portavano al vecchio ospedale regionale della città di San Cristobal. Dopo il parto ci riportano al centro penitenziario, ma nel carcere non c’è pediatra, non ci sono medicine nè per i bambini nè per noi, e ci portano all’ospedale solo quando vedono che stiamo morendo. Il settore femnminile dove viviamo lo puliamo noi stesse una volta alla settimana, turnandoci. I neonati vivono con noi nella cella, non c’è un luogo specifico per i neonati e ogni donna cura suo figlio.
Per il resto dobbiamo aggiungere che la cella misura all’incirca 3 metri x 4 e viviamo 6 donne, con un bagno in ogni cella e il pranzo che ci danno è lo stesso anche per i bambini, non ci sono cibi speciali per loro. Frequentemente abbiamo malattie tipo dolore di stomaco e mal di testa, influenza e spesso soffriamo di salmonellosi.
14. So che insieme ad altri portate avanti una lotta e che a settembre avete intrapreso un faticoso digiuno per rivendicare i vostri diritti, mi puoi descrivere: le forme di questa lotta, gli obiettivi della lotta, i detenuti che la portano avanti, l’appoggio che avete all’esterno (in Messico e fuori dal Messico), e se ci sono donne detenute, oltre te, che partecipano a questa lotta?
Prima di tutto ci siamo organizzati e abbiamo discusso sulle conseguenze che comporta un atto di resistenza e abbiamo cercato di fare bene le cose così come abbiamo fatto il 29 settembre 2011. Il nostro obiettivo è reclamare ed esigere che si rispettino i diritti umani e che ci restituiscano la libertà che ci è stata tolta dal mal governo. L’azione che abbiamo fatto il 29 settembre scorso ha avuto l’appoggio degli altri detenuti che hanno mostrato la loro solidarietà con acqua zuccherata e parole di conforto; almeno questo è quello che mi ha raccontato mio marito mentre nella mia area ho sentito l’appoggio morale, ho ricevuto parole di conforto e cibo per mio figlio Leonardo da parte di alcune donne che simpantizzano per la causa. Abbiamo ricevuto anche molto sostegno dai compagni di lotta, dalle persone comuni e dai mezzi di comunicazione. Siamo molto contenti e ringraziamo Dio per la opportunità di conoscere e sapere che tanta gente sta con noi. Nell’atto di resistenza del 29 settembre scorso ero l’unica donna.
15. La polizia giudiziaria ti ha fatto pressioni attraverso tuo figlio affinché tu interrompessi la lotta che state portando avanti, tu cosa hai fatto? Subisci ancora queste pressioni?
Si, ho ricevuto minacce, ma, grazie alle denuncie che abbiamo fatto e che hanno fatto i compagni, ciò non è più risucesso e quindi hanno poi rispettato la mia protesta. Oggi comunque continuano altre intimidazioni perchè le autorità non gradiscono che siamo organizzati. Indifferentemente dalle minacce che possa ricevere, continuerò a lottare fino a ottenere la mia libertà, o meglio le nostre libertà.
16. Quel è la situazione tua e dei tuoi compagni in questo momento e cosa pensate realmente di ottenere?
Oggi sto e stiamo tranquilli e contenti per l’affetto che riceviamo e le simpatie conquistate, compresa la tua; quello che più desideriamo nella vita e quello che chiedamo a Dio è ottenere la nostra libertà e continuare a lottare per la società, conquistando altri cuori alla nostra causa.
17. Tu sei donna, madre, indigena, e le tue condizioni sociali sono modeste: sei consapevole di essere una delle parti più esposte in questo sistema?
Si, perchè noi donne indigene siamo sfruttate, ignorate. Oggi sto in carcere per essere povera e analfabeta; grazie a Dio qui in carcere ho imparato un po’ a leggere e a scrivere, visto che le autorità che si dicono competenti inventano e imputano delitti fabbricati da loro stessi e non rispettono i nostri diritti umani. La forma per controllare il mal sistema è organizzandoci, naturalmente, l’obiettivo è farla finita con il mal governo, affinchè i nostri figli possano crescere in libertà e armonia. Io come donna ho e abbiamo il diritto di fare valere la parola madre.
18. Chi ti dà la forza di reagire e di continuare a lottare? E come pensi che si possa venire fuori da condizioni di ingiustizia così profonde e radicate?
Spiritualmente chiedo a Dio forza e resistenza; umanamente mi da forza mio figlio. Quando vedo il suo visetto innocente, mi viene una grande tristezza, ma dalla tristezza nasce il mio coraggio e la rabbia, grandi e degni come il mio dolore. Per uscire da queste quattro pareti ci vuole solamente pazienza, animo, perseveranza e fede. Dio è grande e materialmente le migliori armi che abbiamo per continuare a denunciare sono la verità e la giustizia.
Ti ringrazio per le domande e per lo spazio che oggi mi hai regalato, cioè il tuo cuore e i tuoi pensieri. Che Dio benedica a te e alla tua famiglia. Oggi e sempre io e i miei compagni di lotta ti mandiamo molti abbracci e saluti. Arrivederci!