di Marta Ajò
Il rosso è un colore che si addice all’autunno. Che colora alberi e boschi di tinte forti e calde insieme al giallo, l’ocra, l’arancio e il marrone.
Niente si associa meglio a questo colore che il valore positivo dell’amore, della passione, la forza dei sentimenti, della vita che scorre.
Ma il rosso si assimila anche al significato contrario dell’ira, della violenza, dell’aggressività e della morte violenta. Niente è più rosso dello spargimento di sangue innocente.
Rosso è il 25 novembre. Giorno che rinnova la ricorrenza istituita già nel 1999 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per sensibilizzare le coscienze collettive ed invitare i Governi a svolgere attività per definire politiche adeguate, nel pieno rispetto dei diritti umani, contro ogni discriminazione e disuguaglianze di genere.
Rossi sono i simboli per comunicare e denunciare la violenza e il femminicidio.
Rosse le panchine, rosse le scarpe, rosse le scritte, rossi i manifesti e gli striscioni con i quali, ormai e in tutto il mondo, le donne riempiono le piazze.
Un rosso appassito, di una giornata che appartiene a tutte le coscienze, in nome della quale gli egoismi devono necessariamente cedere il posto alla partecipazione responsabile, alla volontà di cambiamento che spinge migliaia di persone a prendere posizione pubblicamente.
Una forza, quella che si sprigiona nelle piazze, nei convegni, negli eventi pubblici ed istituzionali, che non è solo denuncia ma un forte rumore collettivo.
Il femminicidio, come parola in sé, non è che la modernizzazione dell’omicidio di un genere sull’altro, di un uomo su una donna. In nessun periodo storico si rileva il contrario. Dunque un comportamento atavico, frutto di una cultura che non si riesce a modificare, nonostante i viaggi in progress delle navicelle spaziali, né nel perfezionamento delle tecnologie. Le differenze di genere si definiscono ancora oggi con atti barbaramente antichi di violenza e sfruttamento di persone deboli e non protette.
Che il futuro debba ancora e nonostante tutto tingersi di rosso?
La violenza contro le donne non è un racconto da tradursi in fumetto, in film o fiction.
Essa è una realtà presente nella nostra società.
Sembra un anacronismo dovere considerare che, dalla ricostruzione post-bellica ad oggi, quello della violenza di genere rimane un dato che non solo non si è modificato ma è peggiorato e che, questi atti di sangue, siano purtroppo in aumento.
In questo rosso novembre l’interrogativo che si pone è “ cosa non ha funzionato e non funziona?”.
Dove ricercare e individuare il nocciolo duro? Forse nella cultura, scolastica, familiare, popolare, intellettuale, politica che non hanno rettificato la rotta né attivato i necessari percorsi formativi delle giovani generazioni? Dei governi che non hanno fatto rispettare leggi e pene? Delle donne sottomesse e poco inclini alla ribellione? E, infine, di chiunque fosse stata la colpa, a che serve dedicare una giornata a qualcosa se poi non si eliminano le cause a monte di questa simbolica denuncia?
Rosso è il novembre.
Dal 1999, da quando l’Onu ha scelto questa data in ricordo dell’assassinio delle sorelle Mirabal e associazioni di donne, attiviste di forze politiche e migliaia di donne di ogni appartenenza hanno organizzato e organizzano attività per sensibilizzare l’opinione pubblica e i governi ad operare una politica di profonda riforma di giustizia.
Rosso è il novembre 2018, ricordato con tante panchine rosse vuote, migliaia di scarpe rosse sul selciato, simboli popolari che attendono di non rimanere contrassegni a lungo privi di significato e, nel breve, di giustizia.
Pubblicato su Dols, 13 novembre 2018