La decisione della Corte Suprema americana di annullare l’aborto come diritto costituzionale ha suscitato, e susciterà, forti proteste in America e in molti altri paesi.
Per la sua delicatezza la questione ha sollevato sempre tantissimi pareri discordanti ed è per questo che nel nostro Paese si arrivò ad un referendum popolare per porre il quesito direttamente ai cittadini (1981). Prevalse la volontà di rendere legge dello Stato il diritto al ricorso dell’interruzione volontaria e medicalmente assistita.
Quanto succede oggi negli Stati Uniti riapre quindi ferite antiche e questioni ancora aperte.
Le prime che ricordano il dramma degli aborti clandestini e i rischi sulla salute che ne derivavano, i confini in materia tra le classi sociali, le metodologie seguite presso mammane o medici senza scrupoli, definiti tragicamente “cucchiai d’oro”, o tentativi in proprio.
Le altre i dilemmi della scelta e le inevitabile conseguenze morali o psicologiche.
In controtendenza rispetto all’attuale era della tecnologia informatica e digitale, che alimenta una visione di futuro oltre l’immaginabile (metaverso?) e che rivendica la libertà virtuale di dire e fare la qualunque, la donna resta ancora “nicchia” e le sue scelte, di qualunque natura, vengono ancora messe in discussione da chi detiene il potere.
Concessa alla libertà mediatica la sua sovraesposizione, di essere vittima di stalking, insulti ecc. non le si riconoscerebbe la liberà scelta tra diventare madre o rinunciarvi, in caso di aborti sofferti, terapeutici o psicologici.
E lo spazio virtuale preferisce nutrirsi a di madri assassine e maternità “vip”. Fatti singoli, esecrabili o ammirevoli. Il web divora e digerisce tutto. Indulge e influenza e, in questa modalità onnivora del vero e del falso, non coglie la “visione d’insieme” della “donna” entro cui collocare il problema dell’aborto.
Le donne che ancora oggi si ritrovano a protestare per difendere un diritto di libertà (non di usare il corpo come puro strumento di piacere o di libertinaggio) a generare un essere umano, già nove mesi prima che esso venga al mondo, dovrebbero anche essere messe in grado di affrontare una scelta serena e consapevole.
Perché una gravidanza indesiderata o sofferta per motivi psicologici, ambientali, sociali, morali o economici, non induce la donna a sentirsi adeguata come madre, a meno che non viva in una società così organizzata e strutturata che possa sostenere lei e il nascituro in ogni evenienza.
Insomma la donna, che non chiede potere di vita o di morte, deve essere messa in condizione di porsi domande sulle proprie capacità genitoriali, fisiche, mentali, che una nascita in determinate circostanze produce.
Sulla donna infine ricade tutto, scelta e conseguenze.
Esistono le stupide, ignoranti e ricattatorie tesi secondo cui con l’avallo di una legge che permetta loro questa opportunità, esse si sentirebbero in diritto di rendere il proprio corpo mero strumento di piacere. L’uso del corpo, inteso come sesso e raggiungimento di piacere erotico. E chi sarebbero i fruitori?
Contemporaneamente, non risulta né in secoli bui della storia né in altre società, che non si sia fatto ricorso allo strumento abortivo non come contenimento delle nascite ma come risposta a stupri, violenze, in pace come in guerra. E a quelli che affermano che con questa decisione si torna indietro di “150 anni” ribadiamo che la data è, per questi motivi, imprecisa nella misura temporale.
Il futuro passa, come è ovvio che sia o che dovrebbe essere, attraverso cambiamenti in progress e non nel suo contrario. Come se passassimo dal digitale ai geroglifici.
E lasciamo stare le teorie femministe, le donne nelle piazze, per carità. Anche le donne non ne possono più di parlare ai sordi.
Allora parliamo di nuovo e ancora fra noi?
Perché ciò che è accaduto, accadrà nei prossimi tempi, in America ma anche altrove a proposito di aborto, non è che il fondo del barile di una politica che fino ad oggi è stata costretta, per convenienza e consenso più che per convinzione, ad accettare alcune istanze sociali (delle donne in questo caso) ma che non ha aderito concettualmente e culturalmente al mondo che le donne concepiscono e vorrebbero.
Ma se ad oggi la nostra cultura di donne occidentali, i nostri meriti, le nostre capacità, insieme alle nostre differenze, quelle che vogliamo siano riconosciute come tali, le nostre battaglie più o meno intense e indirizzate, non sono riuscite a prosciugare l’acqua marcia in fondo al pozzo, niente ci può meravigliare.
Sappiamo che da tempo è in azione un tentativo di portarci indietro. A cui abbiamo contrapposto resilienza e pazienza. Quando non acquiescenza.
L’aborto, per il suo multiplo valore, sociale, morale e religioso, è da tempo in discussione. Lo si è fatto anche per quanto riguarda la pillola del giorno dopo, la contraccezione. Si definisce drammatica la situazione della popolazione di vecchi, il bisogno di nuove nascite.
Di che stiamo parlando?
Le donne debbono fare figli ma possono essere ammazzate? Da quelli stessi che magari le hanno ingravidate? La salvaguardia della vita della madre conta meno di quella del nascituro?
Vogliamo domandarci che fare?
Ad esempio, mantenendo anche opinioni diverse, non dividersi su questioni di principio, come la libertà della donna. Perché chi sostiene che essa non sia libera di abortire ha in serbo anche la non libertà di difendersi, dal marito, dallo sfruttamento, dalla prostituzione. Dai matrimoni imposti, dalla schiavitù ecc.
In questo non possiamo dividerci ideologicamente in destra o sinistra. Per questo vale la raccomandazione che la condizione di sofferenza delle donne non diventi un microfono personale e strumentale per compiacere chi avalla tutto ciò.