Un bel giorno Pina, giovane impiegata in una ditta farmaceutica, laureata da qualche tempo, mi contatta, a fine aprile 2021, presso il mio studio di Monza, si sa il mese del “dolce dormire” e incomincia un percorso intenso di psicoterapia. La questione quasi urgente, ma apparentemente gestibile, è il suo lavoro. Infatti le hanno proposto un avanzamento di carriera in un settore di controllo e gestione dei dati delle ricerche sui farmaci, Pina ha avuto da poco un bimbo, che allora aveva compiuto 9 mesi, e sarebbe dovuta rientrare alla sua postazione, al suo ruolo, ma Francesco le poneva più di una difficoltà. La più importante era quella di voler dedicargli tanto tempo lo stesso, Francesco le sarebbe mancato mentre doveva presenziare a riunioni, conferenze online, etc., ma il suo orario di lavoro era di 8 ore e lui si divertiva tanto a giocare con la sua mamma…
Come faccio di solito, affronto con Pina la qualità dei rapporti con i suoi legami fondamentali, quello con la madre, con il padre, con la sorella. Emerge un quadro di distanza emotiva e di rabbia, con Francesco non vorrebbe ripetere l’errore della sua famiglia di procurarle una buona educazione, ma una scarsa vicinanza affettiva e poco dialogo, specialmente con la mamma Giovanna, con cui faceva serie discussioni rispetto all’affermazione, al suo successo lavorativo, mentre lei, la caparbia e acuta Pina, negava inizialmente una forte motivazione al successo, mentre per lei la famiglia, con il suo compagno e il piccolo Francesco, era la sua isola felice.
Il padre Enrico, razionale e autorevole, cercava di ascoltarla e di “fare da medium” tra le due. Tuttavia la questione nata con la madre, di seguire una dimensione “fallica”, ovvero maschile, di affermazione personale, per acquisire maggiore potere in mezzo alla società, proposta da Giovanna, diventò anche quella di Pina.
La diatriba si acuì con il fatto che di notte sia lei, la neo-mamma, che il suo compagno, sposato in previsione della maternità, la trascorrevano a coccolare, assistere, a letteralmente “anticipare” i bisogni del piccolo. Per cui in ogni momento Francesco, che neanche la chiamava, poteva aver bisogno del ciuccio, dell’acqua, di un po’ di latte, di carezze e baci, ovvero di tutto, fuorchè di incominciare a dormire da solo, imparare a stare per conto suo, senza dargli la possibilità di formulare egli stesso una domanda di aiuto, che poteva voler dire anche di amore, e poi di autonomia.
Infatti la famiglia si era abituata a far dormire il piccolo con loro, a far camminare Francesco suggerendogli tutti i passi, facendo fatica nel passare dal gattonamento alla postura eretta, per quanto riguarda il camminare, dalla lallazione alla parola simbolizzata, trattando la questione dell’apprendimento linguistico.
Il mio intervento è stato duplice: far diventare proprio, senza perdere di valenza materna, il desiderio di affermazione sociale che tanto l’aveva vista diventare conflittuale con Giovanna, in modo quasi evidente la madre cercava di farla ancora progredire e valorizzarla; separarsi simbolicamente dal piccolo Francesco, permettergli di farlo dormire da solo, aspettando che nominasse i suoi desideri e bisogni, farli concepire e nominare, istituendo un linguaggio di riconoscimento del soggetto che poteva esprimere in questa maniera in modo autentico se stesso. Infine “pulire”la relazione affettiva della neo-famiglia e il luogo del sonno dei tre componenti del nucleo così costituito, in modo tale che l’intimità della coppia fosse preservata e che lo spazio del sonno del piccolo Francesco pure, facendolo dormire sempre nella sua stanzetta.
A distanza di più di un anno, sono stata informata che Pina ha un ruolo di coordinatrice nel settore dati e ricerche farmaceutiche e che il suo bimbo parla in modo sciolto, è socievole e non ha più nessun disturbo del linguaggio, come i suoi cuginetti, a dire della mamma Pina, soffrivano.
Autrice: Dr.ssa Paola La Grotteria