Uccise dalla “cultura”

da | Dic 21, 2013 | Donne e violenza di genere

 

L’immigrazione nei media italiani non è donna. È una delle conclusioni emerse dal primo Rapporto annuale 2012 “Notizie fuori dal ghetto”, ritratto del connubio tra stampa italiana e immigrazione, svolto dai gruppi di ricerca dell’Osservatorio Nazionale Carta di Roma su “Media e minoranze”, coordinato dall’Università La Sapienza, facoltà di scienze della Comunicazione. Delle notizie prese a campione il 53% riguarda prevalentemente uomini, il 30% i due generi in maniera equilibrata e solo il 17% prevalentemente donne. Si può parlare di una rappresentazione minoritaria delle donne, passivizzata, poco presente in alcuni argomenti (legislazione, società) e confinata in altri (cronaca nera, riferimenti culturali). Questa considerazione forse potrebbe essere estesa alla rappresentazione delle donne nel loro complesso nel contesto dei media italiani, ma sembra enfatizzata ed estremizzata nel caso delle donne migranti.

Nel caso delle violenze contro le donne e dei femminicidile immigrate sono rappresentate come vittime, sovente deboli o succubi delle tradizioni e delle famiglie patriarcali. Le violenze, i soprusi, gli omicidi sono in prevalenza letti in chiave culturalista, attribuendo cioè alle origini culturali religiose o nazionali dei carnefici e/o delle vittime le cause dei delitti e dipingendo le culture come monolitiche, immutabili ed essenzialmente differenti. Il numero di Combonifemdi novembre 2013 aveva parlato in anteprima della ricerca portata avanti dal gruppo Prosmedia dell’Università di Verona all’interno del Primo piano.

Il Rapporto chiarisce che nel 2012 nei media italianitrovano spazio le storie dei figli di immigrati, analizzate anche dall’informazione televisiva attraverso vicende o appelli di persone o gruppi di associazioni ( L’Italia sono anch’io) e il racconto delle difficoltà che i ragazzi e le ragazze figli di immigrati devono affrontare quotidianamente. In generale, i servizi televisivi analizzati (RAI e Mediaset) si concentrano sulla biografia dei giovani, che legittima le loro richieste e li accomuna con i coetanei autoctoni. I figli di immigrati riescono così a conquistare un ruolo da protagonisti nelle notizie ed escono dalla trattazione passiva di destinatari d’iniziative di solidarietà. Anche il velo, tramite le immagini diffuse da questi servizi, assume un significato diverso: pur simboleggiando la diversità delle nuove italiane, è indossato da giovani attive nel rivendicare i propri diritti, discostandosi dalla rappresentazione dominante che lo indica come simbolo di non italianità oltre che di oppressione e passività.

Per Laura Boldrini, presente alla Camera dei Deputati durante la presentazione del rapporto, la donna migrante è protagonista sociale laddove viene sistematicamente rappresentata come vittima. È protagonista economica, sia nell'economia dei Paesi di origine sia nei Paesi in cui si trova a lavorare. Lascia il proprio paese e con le rimesse mantiene la sua famiglia e le altre, perché spesso i mariti si fanno altre famiglie e i figli le usano come bancomat. È una figura positiva dal punto di vista sociale ed economico, ma anche molto drammatica dal punto di vista umano. E dovrebbe far riflettere noi donne del Nord del mondo perché senza di loro non potremmo avere quello che stiamo avendo: la nostra è una emancipazione sulle spalle di altre donne.

ComBonifem