Ulrike Meinhof. Una rivoluzionaria tedesca per la pace e la violenza. Un mito da osservare.

da | Lug 27, 2023 | Dietro la lente

 

 

 

Perché in piena estate rivolgere l’attenzione a una figura femminile così lontana, ma per certi aspetti vicina? Alcuni movimenti di opposizione al governo attuale in Italia, che fanno riferimento alla sinistra, vedono in modo contrastato le varie mancate opportunità di civilizzare in modo progressivo e riformista il nostro Paese.

C’è chi dice anche che, a proposito di migranti e delle leggi pensate per regolare il flusso di queste persone che fuggono da condizioni di guerra e persecuzioni, non incontrano veramente una democrazia, ma una politica di rifiuto imperialista, avrebbe scritto Ulrike Meinhof, che ricorda le nostre campagne di invasione coloniali.

Ulrike Meinhof amava Marx e Lenin e vedeva che al posto di una vera e autentica democrazia civile e pacifista, nella Germania del dopo guerra, si poteva, secondo lei, percepire uno stato di violenza che faceva eco allo stato di repressione intransigente, simile all’estrema destra dell’epoca nazista. Criticava la politica filo-americana a favore degli armamenti. Con il documentario “Bambule” (1970) riprende il tema, caro a Michel Focault scrittore di “Sorvegliare e punire”(1975), della pedagogia repressiva delle comunità per donne giovani in riabilitazione educativa, con però forme di soppressione della libertà, perché le si “chiudevano” come in manicomio, e in aggiunta un sentimento di disprezzo per il lesbismo.

Perché  interessarsi a Ulrike Menhof, ora? Perché secondo me tira aria di alienazione e sottomissione, foriera di rabbia e contestazione della politica in essere, ma dobbiamo imparare dalla Storia che ci insegna proprio a diffidare di un modello tanto coinvolgente quanto discutibile, con contraddizioni forti come quello della terrorista tedesca.

All’inizio Ulrike Meinhof  fu giornalista militante della sinistra radicale tedesco-occidentale, ed ebbe numerosi e fervidi contatti con membri dell’intelighenzia letteraria tedesca, tra cui Heinrich Böll, che scrisse un articolo su di lei. Fu coinvolta anche nel movimento anti-nucleare e fu redattrice del giornale radicale Konkret.

Si ricorda anche l’effetto Baader-Meinhof, o illusione di frequenza che si ha quando un nome, un concetto, una parola di cui si è appena scoperta l’esistenza prende a ripresentarsi all’attenzione subito dopo con un’insolita frequenza. E per quale motivo cito questo effetto? Perché è un bias, ovvero un errore cognitivo legato all’inconscio, all’irrazionalità. Prende nome dai due terroristi della R.A.F., acronimo per Rote Armee Fraktion, banda terrorista eversiva degli anni ’60/’70 in Germania ovest, dopo la divisione in due della Germania nel ’49.

Allora cosa fece la R.A.F., con tanti bei ideali che avrebbero potuto consentire, in forma legalizzata, un confronto politico schietto e civile? Lotta armata. Ammazzarono tanti soggetti civili o rappresentanti del sistema da distruggere e ricostituire in un mondo senza repressione e violenza… Quante contraddizioni tra ideali di civiltà e mezzi bellici incastrati fra loro!

Cosa usavano terroristi, in prima linea la nostra Ulrike Meinhof, tuttavia? La stessa violenza armata e imitata dalle società passata fascista e nazista che tanto combattevano e criticavano.

La Storia ci racconta di come praticamente tutti i terroristi rossi della R.A.F. sono stati catturati e condannati alla detenzione carceraria dallo Stato tedesco. Chi si è suicidato come Ulrike Meinhof.

Per confidenze personali di pensatori tedeschi attendibili, so che la terrorista più rossa della Germania all’epoca faceva paura ai tedeschi perché li sottoponeva ad una “punizione” altrettanto severa e quanto mai sanguinaria. Ha recato distruzione, come voleva, e condannava in modo onnipotente coloro che non rientravano nel progetto di comunismo e democrazia proletaria e operaia. Perché decidere della vita di altri? Con quale potere o significato?

In Italia ci sono stati i brigasti rossi, proprio in quel periodo, con la stessa fine…

Non mi viene nulla più da aggiungere se non quel pensiero tanto positivo, quanto forte che il potere è di chi lo vuole amministrare o imporre, usare o deviare, ma sempre potere è, ideologicamente.

Diffidiamo dai miti carichi di quegli eroi della lotta armata, che tanto entusiasmano, per proporre ideali di democrazia, pace e civiltà, distruggendoli però tutti e lasciando macerie fisiche ma anche psicologiche nelle società e nei singoli cittadini.