Una politica con al centro le donne

da | Mar 8, 2024 | L'opinione

Nell’occupazione femminile, non possiamo affatto dichiararci soddisfatti. Siamo
ultimi in Europa, metà delle donne non lavora, il che significa che
non è autonoma economicamente. E così troppe donne sono doppiamente a rischio, di povertà, e di violenza domestica.
Non solo. Negli ultimi quindici anni si sono susseguite tre crisi. Nel 2008-2009, nel 2013, nel 2020. In
tutte e tre si è persa occupazione. E ogni volta si è
dovuto risalire la china. Ma c’è chi non è riuscito a
recuperare ciò che aveva perso. Sono le donne giovani, tra i 25 e i 34 anni, a cui mancano ancora 1,3
punti rispetto ad allora. E c’è chi ha perso di più, il
Mezzogiorno che non si era avvantaggiato neanche dalla crescita dell’occupazione femminile nel
periodo immediatamente precedente, dal 1995 al
2008, con solo 200 mila lavoratrici in più. E che
quindi continua ad avere il tasso di occupazione
femminile al 33 per cento, come la media dell’Italia
del 1977!
Non basta. In questi anni la qualità del lavoro è
peggiorata. E aumentata la precarietà, il part time
involontario ha superato ampiamente il 50%, è peggiorata la conciliazione dei tempi di vita. Più che
nel resto d’Europa.
Inoltre, continua a manifestarsi il grande paradosso delle donne. Si laureano di più, si laureano
prima, con voti migliori dei loro coetanei. In tutti i
corsi di laurea . In tutte le zone del Paese. Ma trovano lavoro più tardi, ne trovano meno, più precario
e peggio retribuito. A cinque anni dalla laurea, la
differenza nella percentuale d’inserimento in lavori ad alta specializzazione è di 5 punti percentuali,
secondo AlmaLaurea, a svantaggio delle donne. Il
gender gap salariale raggiunge il 20%, il 26% nelle
Arti e design. E se si hanno figli in qcializzazione è di 5 punti percentuali,
secondo AlmaLaurea, a svantaggio delle donne. Il
gender gap salariale raggiunge il 20%, il 26% nelle
Arti e design. E se si hanno figli in quegli anni, la distanza diventa abissale
La presenza delle donne nei luoghi decisionali
cresce lentamente. E così, anche laddove le donne
sono maggioranza, come nella Sanità, solo il 17%
dei primari è donna. E all’Università, dove le donne
sono maggioranza tra i laureati, tra i professori ordinari raggiungono solo il 26%.
Si avanza, sì, qua e là, ma faticosamente. Siamo
un Paese con un alto livello di segregazione verticale di genere nel mercato del lavoro. Poche donne
nei luoghi decisionali. D’altro canto, gli anni decisivi per lo sviluppo delle carriere si collocano tra i
trenta e i quaranta. Gli stessi in cui le donne hanno
i figli. E la coincidenza dei due percorsi non può
che penalizzarle, in un Paese che si disinteressa dei
servizi educativi per la prima infanzia, dei servizi
di assistenza per anziani e disabili, dei congedi di
paternità adeguati. E che da decenni scarica sulle
spalle delle donne il carico della cura.
E in un Paese in cui gli avanzamenti in carriera e
la competizione continuano ancora prevalentemente a basarsi sulla disponibilità di tempo illimitata sul lavoro. Non sulle competenze. Così non c’è
storia. Le donne, specie quelle con figli, partono
con un handicap difficilmente recuperabile.
Stereotipi di genere incanalano donne e uomini
in ruoli precisi, fin dalla prima infanzia. Le scelte
formative e professionali sono fortemente condizionate da questi. Il mix di forti stereotipi di genere
e scarso supporto di welfare è esplosivo. Bisogna
rompere il giocattolo, rompere il meccanismo che
ha reso possibile che tutto ciò avvenisse. Bisogna
cambiare le priorità della politica: al centro finalmente le donne. Come mai è stato. Con la grande
forza che hanno mostrato negli anni, singolarmente e collettivamente.

la Repubblica, 8 marzo 2024