Genova, alcuni giorni fa: una madre, il suo compagno, un bambino, figlio di lei, di otto mesi.
Questi gli interpreti.
Una stanza dove due adulti si consumano dietro la droga e un bambino si consuma di mancanza d’amore e di violenza.
Non è un prologo di un noir, è realtà. E’ la realtà che ha ucciso il piccolo Alessandro, vittima inconsapevole della violenza adulta, dell’indifferenza affettiva, dell’egoismo umano. Ucciso perché con il suo pianto disperato invocava cibo, attenzione, pietà e la fine del dolore fisico. E la risposta non ha tardato a venire; sbattuto per terra come un pupazzo di stoffa, morso, maltrattato prima.
Non c’è passione in questo racconto, non c’è ricerca di verità (è stato assodato che il colpevole materiale dell’atto sia stato il convivente) ma c’è desiderio di giustizia.
Giustizia perché la vendetta è impossibile davanti la sentenza incongrua che ha scagionato la madre.
Perché se chi ha sollevato il braccio contro quel bambino è stato l’uomo, la responsabilità della madre certamente non è inferiore. Una donna che per una briciola di droga mette a repentaglio la vita di un figlio, che accetta i maltrattamenti e le lesioni nei suoi confronti solo per farlo azzittire, che non dimostra nessuna pietà che non sia quella per se stessa (ha accusato subito l’uomo per scagionarsi) non merita la pietas umana e disgustosa ci appare altresì la sentenza del giudice che ha emesso, nei suoi confronti, un’assoluzione perché non ha compiuto l’atto materiale.
Viene da fare una riflessione.
Chi ha più diritto alla vita? Un feto silenzioso o un bimbo che piange disperatamente? Sono domande difficili e difficili sono le risposte. Tutte le donne sono per la salvezza del concepimento e del concepito; a volte, però, la consapevolezza di procurare un futuro a rischio per il nascituro, porta alla dolorosa scelta d’interrompere la gravidanza.
Bergamo, oggi: un cadavere di un neonato è stato trovato nel parcheggio di una discoteca. A scoprire il bimbo senza vita, avvolto in una coperta e sistemato in una busta di plastica, un operatore dell’azienda della nettezza urbana del comune. Quando è stato ritrovato, il bimbo, di carnagione chiara, aveva ancora una parte del cordone ombelicale attaccato. Una notizia scarna.
Si potrà dire che quei feti erano sano, che dovevano vivere, certo, ma è servito soltanto a condannarli a morire in modo più crudele.