Ungheria – La ripida salita verso la paritàI

da | Mag 1, 2015 | Donne dal mondo

I diritti delle donne, oggi, e il loro cammino verso la parità in un paese dove il regime comunista aveva dato una parvenza di equilibrio fra i sessi senza riuscire a cambiare le mentalità, di Massimo Congiu

La popolazione ungherese è femminile per oltre il 52%.
Il paese assiste già da diversi anni a una progressiva avanzata delle donne nel mondo del lavoro in un contesto difficile che continua a privilegiare le persone di sesso maschile. Secondo Mária Hercegh, dirigente sindacale all’MSZOSZ (Confederazione Nazionale dei Sindacati Ungheresi), le donne ungheresi di oggi hanno titoli di studio superiori a quelli dei loro connazionali di sesso maschile e sono più preparate e specializzate di loro. “Dotate di una maggiore flessibilità – aggiunge Hercegh – sono tendenzialmente disposte ad accettare lavori che di norma vengono scartati dagli uomini perché considerati da questi ultimi non abbastanza prestigiosi. Più determinate, quindi, più flessibili, più dotate di capacità di adattamento e di strumenti con i quali realizzare una carriera brillante. Tutto questo in una situazione che non le favorisce e che, secondo le dirette interessate, dà luogo a numerose discriminazioni nel mondo del lavoro. Le medesime raccontano che le differenze di trattamento iniziano al momento del colloquio per un impiego quando curriculum vitae e attestati non bastano; prima o poi l’esaminatore chiede alla candidata se ha intenzione di fare figli e mettere su famiglia, intenzioni che, fanno notare, non costituiscono un problema nel caso di un uomo, per una donna rispondere affermativamente a questa domanda può essere un punto a sfavore.
Secondo Mária Hercegh il nuovo Codice del Lavoro ungherese, entrato in vigore il primo gennaio di tre anni fa, non aiuta le donne. Espressione di un governo che non brilla per propensioni democratiche, limita il già angusto spazio d’azione dei sindacati e i diritti dei lavoratori dipendenti, soprattutto di quelli assunti nella pubblica amministrazione e, a parere della sindacalista, non contribuisce alla difesa dei diritti delle lavoratrici. L’attuale esecutivo guidato da Viktor Orbán ha, è vero, riportato a tre anni il periodo di maternità (era di due anni prima di questo intervento), ma il problema si presenta al ritorno nel posto di lavoro. Spesso occorre ricominciare tutto da capo, ricostruire le relazioni e il rapporto di fiducia con il datore di lavoro. Non di rado, fanno notare le sindacaliste, le donne devono cercarsi un altro impiego perché nel frattempo il loro posto è stato soppresso o assegnato ad altri. Ciononostante le donne vanno avanti e i dati parlano di una progressiva femminilizzazione degli uffici della funzione pubblica. Ci sono ancora settori che continuano ad essere un tradizionale sbocco lavorativo delle donne, come quello dell’insegnamento che secondo recenti statistiche supera il 95%, ma si assiste anche, per esempio, a un aumento della presenza femminile nel settore ferroviario e dei trasporti cittadini e aumenta anche il numero delle donne che ricoprono incarichi dirigenziali. Per loro, però, si pone sempre il problema di come conciliare lavoro e famiglia. È chiaro che non vogliono rinunciare a nessuna delle due cose ma è altrettanto evidente che, per evitare di scegliere devono fare dei compromessi, cosa che, fanno notare, non succede nel caso degli uomini. Le donne in carriera quindi ci sono e non risultano essere poche malgrado il contesto sfavorevole; questo risultato viene attribuito alla determinazione del sesso femminile, alla sua versatilità, ma anche perché oggi come oggi, non sarebbe possibile il contrario per aspetti concreti riguardanti l’economia, lo sviluppo della società e la sua stessa esistenza. Se comunque si chiede alle ungheresi quali siano i valori cui fanno riferimento, la maggior parte di loro dirà, secondo la sociologa Beáta Nagy, “la famiglia e l’autonomia economica”. La famiglia, i figli, continuano ad essere un obiettivo che le donne di questo paese vogliono raggiungere insieme alla realizzazione in ambito lavorativo ed economico. A questo proposito è utile menzionare un recente dossier uscito sul settimanale FigyelÅ‘. L’identikit che emerge dall’inchiesta è quello della donna che per ottenere ciò che vuole deve essere contemporaneamente brava mamma, brava padrona di casa, brava cuoca e stiratrice, moglie premurosa, lavoratrice efficiente, persona brillante, elegante, seducente, sempre in forma ecc. Tanti ruoli da ricoprire e ancora tanta strada da fare per una vera e propria parità nel mondo del lavoro dove, come già precisato, non mancano le discriminazioni: una di esse sta nel salario che presenta differenze di sesso. Al sindacato MSZOSZ fanno notare che secondo le statistiche ufficiali la differenza di stipendio fra uomo e donna è del 16-17%, ma i rappresentanti dei lavoratori ritengono che questa disparità sia almeno del 30% considerando il fatto che molte donne sono assunte col salario minimo insufficiente al loro sostentamento.

Nel mondo politico la situazione è più triste in quanto la rappresentanza femminile langue. In Parlamento le deputate sono meno del 10% del totale. La società ungherese non accetta di buon grado il fatto che anche le donne possano occuparsi di politica, la sinistra è più sensibile alla questione ma in generale risulta difficile che una donna arrivi a ricoprire cariche dirigenziali nei partiti, che nella maggior parte dei casi sono guidati da uomini. Ildikó Borbely, deputata socialista al Parlamento ungherese, afferma che sebbene viviamo nel XXI secolo la maggior parte degli ungheresi ritiene che il posto della donna sia a casa e che non la si debba coinvolgere in altri ambiti. “Certo – prosegue la Borbely – anche noi donne diciamo che il valore più importante è la famiglia, però bisogna anche pensare che il mondo intorno a noi è cambiato e che le persone devono essere più tolleranti“. La deputata aggiunge che l’attuale governo conservatore accentua questa visione tradizionalista del ruolo della donna e che i rapporti tra i due sessi nel mondo della politica non sono buoni: “i nostri colleghi maschi ci trattano come se appartenessimo a un’altra categoria di persone, non ci considerano dei partner alla pari. Eppure la politica avrebbe bisogno del nostro apporto, considerando anche il fatto che abbiamo una spiccata sensibilità sociale“. Come precisato più volte il contesto è difficile, quella ungherese è una società patriarcale, fondamentalmente maschilista. Un carattere difficile da nascondere anche durante il passato regime che durante la sua esistenza ha cercato di creare una parvenza di equilibrio fra i sessi senza però riuscire a cambiare le mentalità. Le donne ungheresi si scontrano con questa realtà, non esclusiva, peraltro, del loro paese, e le ONG attive sul fronte della difesa dei diritti delle donne fanno presente una casistica di non poco conto sulle violenze che le donne subiscono in famiglia. Secondo Vera Stummer, attivista di NANE (NÅ‘k a NÅ‘kért Együtt az ErÅ‘szak Ellen, Donne per le Donne contro la Violenza), le dirette interessate sono generalmente poco propense a denunciare i soprusi di cui sono vittime, soprusi considerati dalla mentalità corrente come un problema della donna e di suo marito. Un problema di coppia, quindi, non un episodio da denunciare alla polizia. Del resto, secondo Stummer, le autorità competenti non garantiscono tutela e sicurezza adeguate alle vittime delle violenze domestiche, di conseguenza queste ultime non nutrono fiducia nelle istituzioni che dovrebbero difenderle. L’ottava Conferenza Europea di Ricerca Femminista svoltasi a Budapest nel 2012 ha sottolineato le lacune delle leggi ungheresi sul tema e il dossier realizzato da Human Rights Watch l’anno successivo ha posto l’accento sulle restrizioni poste dalla nuova Costituzione ai diritti riproduttivi della donna e a quello all’aborto, e raccomandato inutilmente all’attuale governo di cambiare orientamento.

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