di Elisabetta Righi Iwanejko
“Dove è stato eletto Milosevic? in Serbia, allora solamente i serbi potranno cacciarlo”. Nel secondo inverno di assedio a Sarajevo (1993), l'ex Presidente della Federazione Iugoslava Raif Dizdarevic, bosniaco musulmano, spiegava in un'intervista ad un giornalista britannico la situazione politica a Belgrado.
Un paragone che si adatta perfettamente al caos istituzionale che caratterizza il Venezuela da due anni. La repubblica socialista bolivariana instaurata da Chavez è ai titoli di coda, anche se l'incapace successore Maduro resiste ad oltranza nel palazzo di Miraflores. La reazione della composita e variegata opposizione non ha finora prodotto l'esito sperato. Malgrado l'appoggio della comunità internazionale, il giovane trentaseienne Juan Guaido, Presidente dell'Assemblea Nazionale, autoproclamatosi Presidente costituzionale del Venezuela, non riesce a sfondare l'argine che protegge il regime dal crollo finale.
Maduro è il problema, ma Guaido non è la soluzione. Saranno i venezuelani a decidere la sorte di una nazione che fino agli inizi degli anni novanta era considerata un modello del Sudamerica. Una solida democrazia basata sull'alternanza al governo tra i socialcristiani del COPEI, democristiani di centro-destra, e i socialdemocratici di AD Alleanza Democratica. La cosiddetta politica di diversificazione aveva consentito con i proventi del petrolio di modernizzare il paese, costruendo scuole, strade, ospedali, industrie. L'endemica corruzione e il malaffare aveva inquinato la politica, causando il malcontento e la rabbia della popolazione nei confronti dei partiti tradizionali. Eletto Presidente nel dicembre 1998, Chavez con una serie di referendum costituzionali aveva trasformato il Venezuela in una repubblica socialista che avrebbe dovuto guarire i mali del sistema parlamentare. Sostenuto dalle classi popolari che abitavano i barrios di Caracas e dalle forze armate, l'ex colonnello dei paracadutisti, autore di un tentato golpe nel 1992, ha tradito gli insegnamenti del suo mito ispiratore Simon Bolivar. “Quando un cittadino resta troppo al potere, lui si abitua a comandare e gli altri ad ubbidire”.
La morte di Chavez nella primavera 2013, ha consentito al sanguinario Maduro di mantenere il controllo del paese grazie all'appoggio della Russia in cambio dei diritti di sfruttamento del petrolio. Gli Stati Uniti sono rimasti alla finestra, riconoscendo Guaido come legittimo Presidente, imitati dall'Ue e da Colombia, Brasile, Perù, Ecuador, Cile, Uruguay, Bolivia, Paraguay governati da Presidenti di destra. Al fianco di Maduro si sono schierati Messico, Nicaragua, Cuba. L'Argentina ha deciso di non prendere posizione in attesa degli eventi. Piuttosto confuso l'atteggiamento dell'Italia che ha tanti connazionali a Caracas e dintorni. Lo stallo domina un'incertezza che sembra non intravedere all'orizzonte alcuna soluzione. Intanto le condizioni di vita sono precipitate ai livelli minimi, mentre caos e disordine imperversano ad ogni angolo di strada.