di Elisabetta Righi Iwanejko
“Nulla è più pericoloso che lasciare per troppo tempo un cittadino al potere: il popolo si abitua ad obbedirgli e lui si abitua a comandarlo, dal che si origina l’usurpazione e la tirannia”.
Questa celebre frase di Simon Bolivar esprime in poche parole la realtà del dramma e contemporaneamente del paradosso che vive il Venezuela. Per la prima volta una nazione sperimenta il default della moderna democrazia. Dopo il default economico di Argentina (2001) e Grecia (2015), ecco una prima volta che forse non poteva che accadere nell'America Latina, emisfero di enormi contraddizioni e di laboratori politici.
Negli anni sessanta e settanta il ricorso a golpe e giunte militari, negli anni ottanta e novanta il ritorno alla democrazia, a cavallo del ventunesimo secolo un vento progressista poco riformista e assai rivoluzionario che ha dimostrato che l'eccezione cubana è una regola e non una variante. Mentre il Brasile di Lula e Dilma è sprofondato nel disordine e nella corruzione che ha portato i due presidenti al carcere e alla destituzione, e la Bolivia di Evo Morales resiste in quanto paese senza sbocco sul mare e sostanzialmente povero, il Venezuela è deflagrato in tutto il suo potenziale.
Un Venezuela che negli anni settanta era riuscito a sopravvivere ai sistemi economici della monocultura grazie al petrolio. Infatti i proventi dell'esportazione petrolifera erano destinati alla cosiddetta “politica di diversificazione, ossia l'utilizzo delle royalties Opec nelle opere pubbliche strade, ospedali, scuole che avevano favorito sviluppo e progresso. Un sistema politico bipartitico basato sull'alternanza tra i socialdemocratici AD e i democristiani COPEI aveva garantito un'invidiabile stabilità istituzionale.
La crisi degli anni novanta causata da una corruzione endemica e da una forte diseguaglianza sociale ha determinato l'ascesa di Hugo Chavez, un militare già protagonista di un fallito colpo di stato nel 1992. La riforma costituzionale ha praticamente instaurato una dittatura proletaria di stampo marxista e di impronta populista definita “rivoluzionaria bolivaria”.
Ma Chavez ha abiurato Bolivar sostituendo alla democrazia liberista e corrotta uno statalismo a metà strada tra Cuba e l'Urss. L'imitazione di un socialismo con libero mercato è prima fallito, per le implicite differenze con il modello di Pechino, e poi è sfociato in un dirigismo di richiamo stalinista che ha impoverito e distrutto il sistema paese. La presunta e non illimitata ricchezza del petrolio ha foraggiato burocrazia e militari, oltre alle fasce povere della popolazione, ma ha demolito gradualmente l'ossatura di ogni società, cioè la borghesia e la classe imprenditoriale.
La morte di Chavez nel marzo 2013 ha levato il velo sulla cruda e reale situazione di un Venezuela devastato in tutti i suoi gangli fondamentali. La soluzione Maduro si è rivelata immediatamente fallimentare e insostenibile poichè non aveva il carisma personale e la dottrina ideologica del precedessore. Pertanto la repressione degli oppositori, la limitazione delle libertà individuali e dei diritti civili,la censura della stampa e il controllo dell'informazione sono stati i conseguenti provvedimenti per mantenere un potere fragile e privo di autorevolezza.
Grazie al palese disinteresse di Obama che reputava il mondo un puntino sulla cartina geografica degli Stati Uniti e il tiepido sostegno di Russia e stati neo-autoritari Bielorussia, Cuba, Nicaragua, Iran, Turchia, Maduro è riuscito a sopravvivere, L'elezione di Trump e la barra derecha di Perù, Argentina, Cile, Colombia, Brasile nel biennio 2016-2018 hanno invertito la tendenza, aprendo gli occhi di una comunità internazionale finora assopita o volutamente distratta.
A prescindere dagli eventi delle ultime ore, Juan Guaidò Presidente dell'Assemblea Nazionale proclamatosi Presidente ad interim con l'appoggio di Usa e Ue, e dal rinnovato pronunciamento di fedeltà delle forze armate, l'orologio della storia ha mosso le lancette verso la caduta di Maduro che ha anche perso il sostegno del baluardo estremo del bolivarismo chavista i barrios, le favelas di
Caracas, abitate da emarginati e poveri.
Resta solamente da constatare se tutto finirà come nella peggiore tradizione americano-latina con il classico bagno di sangue del popolo, o con una soluzione pacifica promossa da una qualche mediazione internazionale.
Elisabetta Righi Iwanejko